Le interviste di Gastrofuturo – Carlo Cracco

Il futuro della cucina italiana, grandi cuochi e gastronomi intervistati per capire il loro sentire.

Oggi siamo con Carlo Cracco chef che non ha bisogno di presentazioni…


Partiamo subito a bomba: in un paese come il nostro dove la tradizione gastronomica è importante sia come patrimonio culturale sia come business legato al turismo ed alla commercializzazione di prodotti alimentari, è possibile che questa resista in un paese dove si cucina poco e sempre meno?

Il tema è complesso, spero che non diventeremo come i paesi anglosassoni dove si mangia sempre di più per conto proprio, nel minor tempo possibile, ordinando un delivery. La convivialità si sta perdendo.

Mangiare, ma anche cucinare, è un atto importante, a cui andrebbe dedicata cura e attenzione.

Lo stesso vale per la spesa, che ormai arriva a casa, lavata e tagliata, manca solo che te la mettano in frigorifero. Non abbiamo più tempo neanche per scegliere; andare al mercato è la cosa più bella perchè puoi vedere, toccare, scegliere e prendere ispirazione per un piatto.

Ma la società cambia… Le interviste di Gastrofuturo – Carlo Cracco

Si, ma non per questo ci dobbiamo adeguare.

Secondo te il nostro modello di cucina basato su antipasto, primo e secondo è obsoleto?

Non è obsoleto, ma oggi a differenza del passato bisogna bilanciare il gusto con la salute e il proprio benessere. Sono dell’idea che nella quotidianità bisogna mangiare meno ma meglio, puntando sulla qualità degli ingredienti e sulla freschezza delle materie prime, sulla loro stagionalità e prediligendo prodotti biologici o di cui si conosce la provenienza. Il pasto completo, quello più ricco, deve essere quello delle occasioni speciali, dei momenti di festa e soprattutto un’occasione di convivialità per stare insieme alla propria famiglia e agli amici.

Vedo un problema anche tecnico nelle case delle grandi città, gli spazi sono talmente piccoli che è quasi impossibile una socialità, le case rimpiccioliscono ogni anno.

Esatto e la cucina è quella che ne risente maggiormente, arriveremo ad un freezer ed un forno a microonde impilati uno sull’altro.

Però noi italiani non siamo figli di questa cultura.

No e vedo anche tanti ragazzi che stanno cambiando e si stanno riavvicinando al cibo anche grazie all’università di Pollenzo (facoltà di scienze gastronomiche, nda) che sta formando una generazione di professionisti del settore, italiani e stranieri, appassionati al cibo e alla convivialità.

Questo vuol dire che la scuola è il primo passo per costruire una coscienza gastronomica.

Le interviste di Gastrofuturo - Carlo Cracco

Secondo te sarebbe interessante inserire nelle scuole medie e superiori la materia scienze gastronomiche, per studiare la nostra cultura e il cibo come mezzo per preservare la nostra salute? cominciando anche da una cucina interna?

Certamente, imparare a stare a tavola insieme, imparare la varietà e il potere nutrizionale degli alimenti, perché i ragazzi quando è buono mangiano di gusto.

Se la scuola ci insegnasse l’educazione gastronomica i ragazzi poi non mangerebbero tutte quelle porcherie processate dall’industria, capisci da solo che se bevi troppe bibite gassate prima o poi la paghi, e questo non significa essere contro, significa avere educazione e coscienza di quello che fai e quello che ingerisci. Puoi anche berne un mezzo bicchiere ogni tanto, non succede nulla, ma devi essere conscio che questo non è un sistema da prendere a modello perché a lungo andare non ti farà bene.

Imparare a scuola cosa vuol dire territorio, mangiare quello che abbiamo vicino a noi, quello che è maturato il più possibile sulla pianta.

L’uva che arriva dall’Argentina, pur biologica e buona, non è sostenibile. Insegniamo ai ragazzi a togliere cibo perché ci nutriamo troppo e male, dobbiamo fare un passo indietro per farne due in avanti. Le interviste di Gastrofuturo – Carlo Cracco

Tornando al ristorante, secondo te l’alta cucina è possibile senza la tradizione alla base?

L’alta cucina non esiste, la cucina è divisa in due quella buona e quella cattiva. Punto.

Noi italiani abbiamo un retaggio culturale che deriva dalle osterie e dalle trattorie famigliari, che consideriamo di un livello basso, ma chi l’ha detto? L’osteria è quella che fa la vera cucina italiana, (il problema è che non ce ne sono quasi più).

Noi facciamo un interpretazione personale della cucina italiana, io faccio la mia, Enrico (Crippa, nda) fa la sua e Paolo (Lopriore, nda) la sua. Siamo tutti figli di Marchesi che faceva una cucina personale figlia dell’Albergo Mercato (Albergo di proprietà della famiglia Marchesi a Milano, nda).

Quando uno straniero arriva per la prima volta in Italia non chiede di venire da me a mangiare o da Crippa, vuole mangiare i sapori forti e decisi di una pasta o di un risotto, e noi fatichiamo a darli, perché la materia prima è spesso scadente. Al sud va meglio perché sono rimasti “indietro” e hanno conservato ancora sapori intensi e veri.

Cosa ti dice la frase di Juri Chiotti (chef del Reis in val Varaita): oramai non andiamo al ristorante per mangiare quello che non mangiamo in casa ma andiamo per mangiare quello che dovremmo mangiare in casa. Le interviste di Gastrofuturo – Carlo Cracco

La ristorazione oggi è un recinto dove all’interno c’è di tutto, dal bar al ristorante tre stelle Michelin, la differenza è data solo dal prezzo che sei disposto a pagare. Alcune volte mangi benissimo in un agriturismo e a volte non all’altezza in un ristorante stellato. Quello che manca è l’unità e la condivisione d’intenti. La ristorazione dovrebbe andare su un binario unico: quello della qualità, dove nel suo interno possiamo trovare, il bar di qualità, la pasticceria di qualità e il ristorante di lusso di qualità.

Questa qualità deve essere certificata dal basso, da chi la produce, da chi la trasforma ecc, dal contadino e dall’artigiano, poi va bene la differenza tra locale e locale, devo poter mangiare cose stratosferiche in un locale semplice con 50 € e spenderne 200 € per cose stratosferiche più costose in un locale con altri servizi.

Quindi tu sostieni che bisogna avere delle linee guida per garantire la qualità per ricostruire la gastronomia e la ristorazione italiana.

Si ma bisogna partire dal basso e tutti devono lavorare in nome della qualità che deve essere alla portata di tutti. Io devo poter scegliere di mangiare solo un panino, ma deve essere di qualità e andare in un tre stelle ed avere altre cose sempre di qualità.

Dobbiamo fare un passo indietro nel ragionamento e privilegiare la semplicità di coltivazione, il territorio e retribuire a sufficienza i contadini per permettergli di coltivare bene e vivere con dignità. Siamo arrivati a sfruttare tutto lo sfruttabile, mi riferisco alle persone ed anche al territorio, senza che nessuno dica Basta.

Le interviste di Gastrofuturo - Carlo Cracco

Vedi un futuro triste?

No, perché sono positivo per natura, ma capisco che bisogna tirare un linea netta e ricominciare dalla qualità. Basta pensare che questo è un mestiere che tutti possano fare.

Le interviste di Gastrofuturo – Carlo Cracco

1 commento su “Le interviste di Gastrofuturo – Carlo Cracco”

  1. Condivisibile il pensiero di Cracco, specialmente le sue intelligenti considerazioni. Concedergli il titolo meritato di innovatore della cucina italiana è doveroso. Peccato però l’eterno dilemma se vale o meno la pena di mangiare (e con prezzi certamente non per tutti) in ristoranti dove lo chef appone solo la firma e il suo imprinting, senza sporcarsi le mano ai fornelli…
    Ho sempre l’impressione che queste cucine, pur se buone e in tanti casi emozionanti (per chi ha i mezzi mentali per apprezzarle), stiano diventando autoreferenziali e autoalimentate da se stessa solo con la mediaticità, in troppi casi eccessiva. A volte mi sembra una macchina senza pilota e senza freni che si avvicina a un muro di cemento. Prova di questo sono le tante tristi cene a quattro o più mani di tanti stellati e/o famosi. Solo una necessità per far mestamente cassa e tentare di tenere in piedi qualcosa ormai non più sostenibile…

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