Matteo Fronduti, Ristorante Manna Milano

Intervista di Paolo Mandelli per Gastrofuturo

Oggi parliamo con Matteo Fronduti chef e proprietario del ristorante Manna di Milano e vincitore della prima edizione di Top chef Italia.


Matteo partiamo subito forte: La cucina italiana ha un futuro?

Potenzialmente no perché ci sono una serie di cause derivanti dal nostro sistema capitalistico occidentale in cui viviamo che ha portato le persone fuori di casa. Collaborando con Munchies (sezione gastronomica della rivista Vice, nda) durante il periodo di pandemia, abbiamo chiesto ai lettori, perlopiù Millennials che consumano pasti fuori casa ogni giorno in più ore del giorno, di cucinare un piatto e poi inviarci le foto, il risultato è stato disastroso. Foto imbarazzanti che denunciavano la mancanza completa di un bagaglio tecnico per poter realizzare anche un piatto semplice.

Secondo te è possibile che una generazione che ha quasi sempre mangiato fuori casa e quindi senza riferimenti culturali gastronomici possa far sopravvivere la nostra cucina? La nostra cucina è diventata obsoleta?

La cucina italiana è un retaggio di un’epoca contestualizzata in un periodo storico ben preciso, oggi questo modello non è più applicabile al nostro modello di società, perché c’è meno tempo, perché le persone di un nucleo famigliare devono lavorare entrambi e quindi non è più applicabile.

Quindi siete vuoi cuochi che dovete trovare un nuovo modello di cucina applicabile anche in casa? matteo fronduti

No, verrà spontaneo un modello nuovo, secondo me siamo su un crinale di un grandissimo cambiamento epocale, viviamo già in una società che ha già una grossa componente di immigrazione integrata, la cucina italiana sarà una evoluzione di contaminazione.

La contaminazione è sempre interessante, ma sono sempre piatti da cucinare e qualcuno lo dovrà fare…

Nella nuova famiglia italiana immigrata c’è ancora una figura matriarcale di riferimento che si occupa della casa e della cucina.

Però questo non mi sembra un modello evolutivo, non possiamo pensare che la cucina, italiana o meno, sia legata ad una visione ottocentesca della donna, mi piacerebbe pensare ad un modello di cucina da praticare a casa con una dedizione più passionale che coercitiva.

Purtroppo in una società edonistica come la nostra il saper cucinare non è un valore spendibile come l’essere in forma, per cui sì al tempo in palestra e non a quello in cucina.

Anche mangiare bene (ed intendo bene nel senso più ampio del termine) significa essere in forma. matteo fronduti

Si ma non è un canone, mangiare bene per le persone che si sentono in forma significa: no grassi, no zuccheri ecc, essere in forma significa essere sessualmente attraenti.

Mi sembra tragica la tua visione di cucina, anche nella cucina gastronomica del ristorante troveremo questo scollamento con la tradizione?

Per assurdo potrebbe fare il giro due volte, per cui tra 20 anni le classi dirigenti che avranno voglia di tradizione andranno da Heinz Beck (chef del ristorante La Pergola a Roma, tre stelle Michelin, nda) che avrà in carta il rigatone alla carbonara a 75€ ).

Con la moda dei ristoranti di tradizione regionale come faranno i nuovi chef che sono cresciuti senza riferimenti gastronomici casalinghi di palato a cucinare la tradizione?

Sarà solo manierismo puro, anche se io non ho un background della nonna: mia nonna faceva una cucina di “guerra” perché abituata in quel periodo, mia mamma era una mamma lavoratrice che cucinava bene ma non i piatti iconici della tradizione famigliare. La narrativa della nonna non mi appartiene e non fa parte del mio bagaglio culturale.

Quando un cuoco non ha più niente da dire tira in ballo la nonna…

E’ vero, verissimo, come quei cuochi che spruzzano il fondo distillato della faraona sul piatto e raccontano che era l’aroma che usciva dal forno quando la nonna lo apriva ecc… la realtà è che la narrativa della nonna non esiste, si è ricostruita in autonomia. Nei podcast DOI (Denominazione d’origine inventata) il professore Grandi smonta pezzo per pezzo tutta la tradizione italiana e la riduce ad una invenzione su basi reali. Semplicemente la cucina italiana è l’espressione gastronomica di una società che cambia.

Con questa tua interpretazione è possibile ricostruire un modello di cucina più allineato con la nostra società senza più riferimenti?

Già sta succedendo, anche per una questione cognitiva, se io ti faccio la pasta con il tordo e le banane, tu non hai più nessun riferimento ne di gusto ne economico, per cui tutto è lecito.

Secondo te gli italiani sono reazionari in cucina?

Assolutamente si, perché la favola che ci hanno raccontato è troppo bella per avere una coscienza di dire che è falsa. Anche se il futuro della cucina sarà meticcio. Questa sarà la parte più interessante della cucina italiana, perché ancora tutta da scrivere ed assaggiare.  Se penso oggi ad un cuoco francese penso a Moris Sacko e a Mazzia, non a Ducasse con tutto il rispetto dovuto.

Se cominciassimo dalle scuole ad insegnare il cibo: la gastronomia, la salute, il condividere e lo stare a tavola con un modello replicabile anche a casa. Scuole con la cucina interna dove il cibo viene preparato e cucinato, dove si insegna il valore nutrizionale del cibo, potrebbe essere la base per un nuovo modello di cucina e socialità?

Io sono cresciuto in una scuola come quella che pensi tu, una volta esistevano ed il momento del cibo era una festa (complice un bravo cuoco), da quando esiste l’azienda ristorazione per contenere i costi, per non avere problemi ecc, la partita educazione contro profitto vede un vincitore solo: il profitto.

Non credi che partendo dal basso si possa ricostruire il valore della cucina e che una famiglia si ricompatti la sera a cucinare e mangiare insieme?

Impossibile, forse sarà un privilegio delle classi altissime e una necessità di quelle bassissime.

Forse, certo è che il cibo cucinato da altri è più costoso di quello che ci cuciniamo in casa.

Vero ma il sovrapprezzo del delivery è un costo sostenibile per il tuo impianto di vita,perché cucinare ed imparare a farlo necessita di tempo che devi sottrarre a tante altre attività: aperitivi, palestra ecc ecc a cui non vuoi rinunciare.

Cucinare poi, non ti da prestigio sociale e viviamo in una società del subito: vedo, ordino mangio. matteo fronduti

matteo fronduti

Ultima domanda – Cosa ne pensi della frase di Juri Chiotti (chef e proprietario del Reis, cibo libero di montagna): dovremmo andare al ristorante non per mangiare quello che non mangiamo a casa, ma per quello che dovremmo mangiare a casa.

Partendo dall’assunto che sono vecchio, e che sono stato abituato a mangiare in casa, sono ancorato al pensiero che vado al ristorante per mangiare quello che non mangio a casa.

Ma in realtà i ragazzi poi vanno al ristorante per mangiare la carbonara. Allacciandoci al fatto che gli italiani sono reazionari in cucina, pensi che liberarci dello schema classico antipasto, primo, secondo e dolce, come fanno alcuni bistrot d’avanguardia, sia fattibile?

No, perché è uno schema assolutamente intrinseco nella nostra memoria storica italiana, gli italiani anche nei ristoranti cinesi/giapponesi ordinano secondo lo schema antipasto, primo e secondo che si ricreano in maniera autonoma. matteo fronduti

Grazie Matteo e chiudiamo con un aforisma di Brillant-Savarin: “Il destino delle nazioni dipenderà dal loro modo di nutrirsi” lasciando ai lettori un momento di riflessione.

Matteo Fronduti

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