Per tanti babyboomer come lo scrivente nati negli anni ‘60 del secolo scorso nella ex capitale del regno delle due Sicilie, questa velata minaccia era all’ordine del giorno ogniqualvolta qualche brutto voto “imbrattava” quaderni e pagelle…
Andando nel personale, questa frase, brandita minacciosamente come un’arma da mia madre e mia nonna (mio padre no, forse ben considerava i pizzaioli), perfino a ogni 5 e mezzo, magari preso con il temibilissimo “dettato”, al di là dello sgangherato intento educativo, nascondeva nella realtà la poca o nulla considerazione del mestiere del pizzaiolo, ancora in quegli anni relegato al fondo della scala sociale.
Si, qualche volta al posto del pizzaiolo la “minaccia” indossava le vesti del possibile diventare piattaro, saponaro e perfino solachianiello (calzolaio), occupazioni considerate di infimo status, ma l’incontrastato mestiere che lasciava presagire un futuro cupo e modesto allo studente svogliato restava sempre e comunque quello del pizzaiolo, alla faccia di tutte le considerazioni sul lavoro minorile…
Le radici della scarsa considerazione di questo onoratissimo mestiere sono antiche proprio… quanto questo mestiere, perché perfino spulciando tra gli scritti Alexandre Dumas (padre) uno che con Napoli aveva ottima conoscenza e confidenza, nel 1835 nell’opera in quattro volumi dal titolo Impression de voyage – Le corricolo a proposito della pizza a Napoli scrive:
“La pizza è una specie di schiacciata come se ne fanno a Saint Denis: è di forma rotonda e si lavora come la pasta del pane. Varia nel diametro secondo il prezzo.
Una pizza da due centesimi basta a un uomo, una pizza da due soldi deve satollare un’intera famiglia. A prima vista la pizza sembra un cibo semplice: sottoposta ad esame, apparirà un cibo complicato.
La pizza è: All’olio; Al lardo; Alla sugna; Al formaggio; Al pomodoro; Ai pesciolini. È il termometro gastronomico del mercato: aumenta o diminuisce il prezzo secondo il corso degli ingredienti suddetti, secondo l’abbondanza o la carestia dell’annata.
Quando la pizza ai pesciolini costa mezzo grano, vuol dire che la pesca è stata buona; quando la pizza all’olio costa un grano significa che il raccolto è stato cattivo.
Altra cosa influisce sul costo della pizza: la sua maggiore o minore freschezza. Si capisce che non si può vendere la pizza del giorno prima allo stesso prezzo di quella della giornata, vi sono per le piccole borse pizze di una settimana, le quali possono sostituire, vantaggiosamente se non gradevolmente, la galletta di bordo”.
Quindi… nonostante gli apprezzamenti del Dumas, all’epoca la pizza era considerata innanzitutto un cibo strettamente popolare e, sarebbe passato quasi un altro secolo per vederla (almeno a Napoli e più timidamente nel resto d’Italia) “parzialmente sdoganata”, questa volta sul piatto, come piacevolezza nei pasti fuori casa delle classi più abbienti, regine incluse.
Però, nonostante tutto questo, la considerazione sociale del mestiere del pizzaiolo restava scarsa.
La categoria dei pizzaiuoli (con “U”) veniva considerata nulla più che (quasi…) il fondo delle classi sociali.
Un categoria di onesti e umili lavoratori, e pur se custodi di un’arte al tempo “empirica” e non scientifica, erano ben lontani però dall’essere considerati degni di uno status sociale non dico elevato, ma quantomeno discreto.
E… così la minaccia di essere mandato “a fare” le pizze, ancora negli anni ‘60 era ancora comune per spronare gli studenti più svogliati.
Ora, questa minaccia è stata (per fortuna…) relegata nel folklore del tempo che fu… e per loro fortuna i pizzaioli hanno acquistato un ottimo e, in certi casi invidiabile status sociale di grande visibilità che certamente gli spetta, visto che non è un lavoro affatto facile. Se non studi ti mando a fare le pizze
La pizza, da iconico piatto della semplicità del cibo di strada, che fino a 40 anni fa saziava anche chi non aveva possibilità economiche, nel nuovo millennio si è trasformata in oggetto di culto e in certi casi, di vera e propria mania. Se non studi ti mando a fare le pizze
Troppi, davvero troppi hanno portato questo piatto troppo, e rimarco troppo, sotto i riflettori, e ben si sa che alla lunga i riflettori si dimostrano effimeri…
Spegniamoli e facciamo si che la pizza torni ad essere quella piacevole cosa che era e tutt’ora è, rappresentativa della cultura non solo napoletana, ma nazionale.
Però, stante il perdurante boom di tutto il mondo della pizza, non mi meraviglierei più di tanto se qualche genitore del nuovo millennio sprona il proprio figlia/figlio, magari anche dall’ottimo dal curriculum scolastico a fare il pizzaiolo.
Accecato non tanto dal mestiere in sé o dai possibili buoni guadagni, ma dal divismo che ha colpito d’emblée ormai tanti pizzaioli, che catapultati al ruolo di “celebrità” gestiscono male e sguaiatamente il loro successo, sentendosi davvero super omnia e, autocoincensandosi nel novero dei “maître à penser”…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?