Enrico Crippa chef intervistato da Paolo Mandelli per Gastrofuturo

Enrico Crippa chef tristellato del ristorante Piazza Duomo di Alba, ha introdotto l’orto di proprietà all’interno del ristorante ed ha reso protagonista il vegetale in un ristorante non dichiaratamente vegetariano. Cuoco avanguardista o tradizionalista?

Crippa applica fedelmente la legge della cucina del mercato al proprio pensiero libero, le verdure vengono raccolte in due momenti distinti per i due servizi giornalieri e il menù cambia durante lo stesso servizio adeguandosi alla disponibilità degli ingredienti.

Ad un cuoco come lui che rappresenta la cucina nel suo essere più veritiero e “sensato” ho chiesto quale potrà essere il futuro della nostra cucina in Italia, paese in cui si cucina sempre meno… enrico crippa chef

enrico crippa chef

Enrico Crippa: forse dovremo essere noi cuochi a continuare a cucinare, ci sono ristoranti di alto livello dove chef sempre più bravi portano avanti il loro pensiero ed il loro gesto, ma ce ne sono tanti altri che dopo un percorso stellato si approcciano ad un tipo di ristorazione più semplice, più tradizionale, snella ed economicamente sostenibile come nelle trattorie e bistrot. Questi sono i nuovi portatori del verbo di una cucina applicabile, con i dovuti adeguamenti, anche in casa.

Quindi secondo te siete voi cuochi a farvi carico della creazione di un nuovo modello di cucina italiana? quello classico fatto da antipasto/primo/secondo è obsoleto?

I due piatti canonici, primo e secondo, sarebbe bello che continuassero ad essere parte della nostra tradizione. Per quanto mi riguarda a casa io preferisco cominciare con un vegetale crudo e poi un piatto di proteina animale, carne o pesce che sia o una pasta o riso. Questo potrebbe essere un nuovo modello per la famiglia, da un punto di vista nutrizionale migliore e con un tempo di realizzo più contenuto.

Del resto io vedo già questa tendenza alla nostra Piola (trattoria piemontese di proprietà situata sotto il ristorante gastronomico, nda) i clienti sono soliti consumare un pasto composto da un vegetale in apertura ed un primo per il pranzo e un vegetale con una proteina animale o un piatto corposo della tradizione per la cena. Del resto per cucinare ci vuole tempo e anche un po’ di fatica e questi sono i motivi per i quali si cucina sempre meno.

Verissimo, ma cucinare significa anche prendersi cura di se stessi, della propria famiglia e della propria salute, Marchesi diceva: “Se la natura ci ha imposto di nutrirci, facciamolo nel migliore dei modi, con criterio e con diletto osservando tutti quegli accorgimenti che, per quanto piccoli, conseguono il massimo allettamento del palato nel rispetto della salute.” Vorrei chiederti: come cuoco senti la responsabilità di portare avanti la nostra tradizione culinaria o pensi sia possibile slegarla dalla tradizione?

Bisogna capire da dove proviene il cuoco, se ha avuto la fortuna di conoscere i prodotti veri, coltivati al sole, o prodotti realizzati con sapienza, amore ed etica, allora hai un bagaglio di sapori preciso e definito, se non hai avuto questa fortuna sei in svantaggio ed è più difficile. Comunque, una cosa vera è che chiunque assaggia un grande prodotto lo riconosce all’istante e questo rimarrà nella memoria del palato, questa è la salvezza. Dal canto nostro noi abbiamo il dovere di cercare questi prodotti, usarli e farli conoscere.

E se partissimo dalla base ed inserissimo nelle scuole la materia di scienze gastronomiche ed una cucina in tutti i plessi scolastici, dove proporre l’equazione conosco e mangio?

Benissimo, sarebbe un successo così i ragazzi capirebbero il valore dell’alimentazione e qual è il modello da seguire, capirebbero che bere bevande gassate si può fare una volta ma che alla lunga fa male; noi partecipiamo già ad un progetto chiamato OrtoGrafia con le scuole elementari di Alba e vedo che, qui in una provincia molto legata alla agricoltura come la nostra, solo un bambino su tre riconosce le diverse colture, prova ad immaginare un bambino di Milano che grado di conoscenza può avere.

Tornando alla cucina di ristorante è possibile che l’alta cucina si svincoli completamente dalla tradizione?

Con il modello italiano no, se prendi in considerazione alcuni ristoranti italiani storicamente stellati, penso al Pescatore, il Sorriso, da Caino o da Guido, portano avanti il concetto di cucina tradizionale italiana…

Non pensi che anche la Michelin abbia riconosciuto valore, in Italia, a questo tipo di cucina familiare? Le prime tre stelle Michelin in Italia erano quasi appannaggio di cuoche donne proprio ad evidenziare la cucina della “mamma”.

Si, potrebbe anche essere che la guida rossa facesse questo ragionamento, ma resta anche il fatto che tutti questi ristoranti si trovavano in provincia e non in città sempre per sottolineare una cucina tradizionale.

La cucina di prima linea può separarsi dalla tradizione ed essere figlia solo del genio?

Certamente può essere figlia solo della tua testa, anche se poi in te ci sono tutte le esperienze che hai sedimentato negli anni, anche quelle di tradizione; quando e se arriverai a creare un tuo linguaggio personale sarà questo che creerà la vera emozione ed è quello che io qui ho la possibilità di fare.

Riallacciandoci al concetto di acquistare prodotti di eccellenza da piccoli produttori, pensi che sia necessario attuare delle modifiche alla giustissima tracciabilità?

Vedi, noi siamo costretti a comprare selvaggina che viene dall’estero, pur avendo nelle Langhe vigne piene di lepri e caprioli. Se ci fosse un modo burocratico più semplice per garantire la salubrità del capo abbattuto noi potremmo acquistare capi anche da cacciatori dilettanti. Basterebbe che il cacciatore si recasse all’Asl locale per farsi approvare il fagiano o la lepre, pagando una congrua tassa riuscirebbe poi a rivenderlo ai ristoranti o alle macellerie. Avremo una possibilità in più di accedere a prodotti di eccellenza senza privarci della tracciabilità.

Enrico Crippa

Juri Chiotti, chef del reis cucina di montagna, sostiene che non andiamo al ristorante per mangiare quello che non mangiamo a casa ma per mangiare quello che dovremmo mangiare a casa.

Vero, infatti a casa mangiamo poca verdura perlomeno al nord, io cerco di dare anche un messaggio in questo senso. La verdura oltre che fare bene è potenzialmente molto più versatile e creativa delle proteine animali.

Un asparago lo posso bollire, grigliare o fare arrosto mentre una carne, o meglio un determinato taglio di carne, posso cuocerlo in un modo solo.

Prendi ad esempio la mia barbabietola che c’è nel menu invernale, è presentata in quattro modi diversi ed è un vegetale molto poco usato in cucina. Il mondo vegetale è vastissimo e io cerco di farlo scoprire.

Tu toglieresti la proteina animale dal menù?

No, perché io sono un cuoco e ho bisogno di tutti gli ingredienti per creare il piatto.
Alla verdura per esempio, manca la parte grassa, io alla nostra lattuga alla brace con salsa tipo chimichurri aggiungo sempre una punta di grasso di Fassona sciolto, questa piccola aggiunta completa il piatto ed è come se mangiassimo una bistecca ai ferri con del radicchio. enrico crippa chef

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