E’ questo l’interrogativo sollevato nel corso di una chiacchierata tra amici da un bravo e rigoroso “vignaiolo naturale”, Antonio Cascarano, che con vigne & cantina in quel di Rapolla nel vulture lucano, è noto per i suoi impeccabili aglianico (aglianici?) che piacciono finanche ai più acerrimi denigratori dei cosiddetti “naturali”. Vale la pena di andare alle fiere del vino
L’interrogativo è reale, perché dal “dopocovid” in poi le fiere ed esposizioni di ogni genere del nettare di Bacco si sono moltiplicate come funghi e lumache dopo la pioggia…
È un delitto mortale affermare pubblicamente che forse sono troppe?
Si, il vino, qual esso sia, ormai è diventato davvero “trendy”.
Però, non divaghiamo e torniamo al “core” della faccenda: a chi e a cosa
giova una fiera del vino?
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A farsi notare ed apprezzare dal pubblico, questo almeno per le cantine più piccole o di recente fondazione con problemi di visibilità e di mancanza di un buon distributore?
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Per consolidare e rassicurare la propria clientela mettendoci la faccia in prima persona?
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A chi le organizza che, salvo i rari casi dei singoli che impavidamente fanno promozione sulla loro pelle e portafoglio senza aspettare le lungaggini e la farraginosità delle stampelle pubblica, oltretutto quasi sempre “pelose” e ricattatorie per motivi facilmente intuibili, gli resta qualcosa di guadagno?
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Alla purtroppo e solo in parte residuale, pletora, che in più casi noi contribuenti paghiamo a caro prezzo, fatta di consorzi, organismi locali, enti etc etc, non sempre all’altezza del loro compito?
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Ai produttori tout court?
Ecco: per questi ultimi l’interrogativo del buon Antonio Cascarano resta…
Si, perché a parte i casi (fortuiti o meno) di riuscito aiuto “istituzionale”, partecipare a una fiera grande o piccola che sia, per un piccolo o piccolissimo produttore, come lo sono la maggioranza di quelli “naturali” ha un costo, per non dire dell’impegno organizzativo, logistico, del tempo e perché no… fisico che ha anche il suo costo in schiene spezzate e spalle doloranti.
Muoversi in lungo nelle nostra “lunga” Italia non è come nella “compatta” e vicina confederazione elvetica, ha i suoi bei costi in chilometri, carburanti e hotel…
Allora… è proprio il caso di sciropparsi centinaia e più chilometri per far conoscere al ragazzotto di turno (che vede la fiera solo come occasione di sballo alcolico a buon mercato) il proprio vino che poi non comprerà mai, magari rivolgendosi ad altre sostanze “più in voga”, alcune persino psicotrope?
Vale la pena di fare un lungo viaggio per strappare un qualche “ordinino” di una o più cassette da sei bottiglie da qualche titubante ristoratore, enotecaro o salumiere al quale il vino è piaciuto?
Vale anche la pena di dire “io c’ero” e non potevo esimermi?
I costi per l’allestimento degli stand, anche i più piccoli, i costi per l’affitto della posizione, i costi della trasferta di una o più persone, con il rischio di trovare alberghi e spostamenti più cari nei periodi di fiera (almeno per quelle più grandi) sommati insieme possono superare le migliaia di euro.
Ne vale davvero la pena?
Quando si producono poche migliaia di bottiglie e magari si è da poco sul mercato, nei fatti i costi superano i benefici, e tralasciando le grandissime manifestazioni “monstre” dove ormai ci si va esclusivamente per fare affari o per “farsi vedere nell’ambiente”, e non per assaggiare, questo è un grosso ostacolo.
Inoltre, e mi spiace affermarlo, più fiere del mondo del “naturale” sono scivolate poco a poco in una dimensione di pura e mera vetrina dove, i risultati e economici e di notorietà del singolo produttore, sempre se mai ci saranno, sono da attendersi in tempi lunghissimi.
Quindi, tutte le fiere del vino che punteggiano il territorio da nord a sud, passando per le isole sono inutili?
In mia opinione non del tutto e non per tutti, e per chi appassionato o piccolo operatore che semplicemente vuole scoprire novità o avere conferme di quel che già si conosce, sono ancora utili.
Anche se… il “format” del gironzolare con un calice esausto per i troppi e differenti vini che sono transitati nel vetro, malamente sciacquato dopo più bevute in piedi circondati da altre persone, magari con il peso sulle spalle del regolamentare zainetto in spalla per qualche bottiglia acquistata, forse ha fatto il suo tempo.
Paradossalmente, le fiere che funzionano di più sono quelle più piccole, alias quelle con meno di cento espositori, magari con il tutto condito con la giusta dose di didattica e MasterClass mirate, dove il professionista e/o l’appassionato in una due giorni può trovare e provare molto.
Già… forse perché non ho le capacità da computer quantistico di molti serial taster compulsivi che invece ostentano eno-prestazioni degne di Rocco Siffredi, credo però che degustare un vino necessiti di calma e di una mente libera da altro, e non l’ansia di un frettoloso assaggio esclusivamente tecnico, quindi come la mettiamo con le “fiere” dove ci sono svariate centinaia di espositori?
Indi… perché non prendiamo atto che ormai è proprio il concept della “fiera monstre” del vino uno strumento obsoleto?
Quale potrebbe essere una possibile e ragionevole alternativa efficace e funzionale?
Qui scit?
Vale la pena di andare alle fiere del vino
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?