Paolo Lopriore

Paolo Lopriore intervistato da Paolo Mandelli per Gastrofuturo


«Concludo il mio articolo: “La cucina italiana” con queste parole: Paolo Lopriore propone la cucina casalinga festiva della famiglia italiana, fatta di materie prime eccellenti a km0, che si cerca di far transitare sulla padella in assenza di frigorifero, trattate come in un tre stelle Michelin.

Il menù è giornaliero, fisso al punto giusto, le entrate sono in parte vegetali e in parte anticipano il piatto di resistenza gestibile con salse diverse senza che nessuno ti imponga una rigida sequenza.

Si ha più l’impressione che un grandissimo chef sia venuto in casa tua a cucinare che essere in un ristorante, sarà questo il futuro della cucina italiana?» Ti ritrovi in queste parole?

P.L. Mi ritrovo in pieno, tanto che il comitato scientifico di Casa Artusi ha dato il premio a me e alla mia mamma con questa motivazione: “Trasposizione della cucina casalinga nella professionalità.” Paolo lopriore

Io credo in questo perché l’arte del cuoco è cucinare e quando sai cucinare puoi fare tutto, puoi essere un riferimento per il tuo territorio.

Quindi ritieni che la figura del cuoco sia anche didattica?

Si perché te lo chiedono, come si cucina questo e come si cucina quello, chiedono come mai i propri figli mangiano le verdure al mio ristorante e non a casa. Questo non significa che la mia materia prima sia migliore di quella che trovano a casa, ma che la mia professionalità nel trattarla fa la differenza. Per cucinare serve tempo, impegno e sapere, per questo a volte in casa ti arrendi e ripieghi su qualcosa di già pronto.

A casa certamente ci vuole un minimo di impegno da dedicare alla cucina.

Ovvio per questo io faccio l’asporto durante la settimana, ma la domenica no perché hai il tempo di cucinare o se non vuoi vai al ristorante.

Paolo Lopriore

Come cuoco ti senti l’ultimo baluardo a difesa della cucina italiana?

Io mi sento allievo del Maestro (Gualtiero Marchesi, nda) e sono a difesa di un’arte, purtroppo la casalinga non lo è più perché manca la trasmissione del sapere da una generazione all’altra. Io al ristorante non ti posso dare lo scialle materno ma ti posso dare il procedimento esatto per la realizzazione di una pietanza. A casa non servono grandi cose, basta un pesce marinato con pane e burro, l’importante è stare insieme e dedicare più tempo a noi che alla cucina.

Quindi secondo te lo schema classico italiano: antipasto/ primo/ secondo è obsoleto?

Dipende concettualmente come tu desideri impostare il tuo pranzo o la tua cena, antipasto, primo e secondo rimangono troppe per le fatiche che svolgiamo, ripensando agli insegnamenti del Maestro vediamo che era già fautore del piatto unico, relegando la pasta a funzione di contorno, così facendo non perdeva la tradizione ma la modernizzava per una società che stava cambiando, legando il concetto di desinare al concetto di benessere, L’evoluzione va verso la leggerezza era una delle sue massime.

Pensa che il primo libro di Michel Guerard, uno dei padri fondatori della Nouvelle Cuisine, si chiamava “La grande cuisine minceur“ La cucina dimagrante, stampata nel 1976. Questi concetti sono profondamente radicati in me, ed è questa la mia visione di cucina.

Uno schema nuovo o abbastanza nuovo?

Per un italiano può essere abbastanza nuovo, un involtino di pollo si accompagna con delle tagliatelle fresche, ma anche un raviolo può essere di contorno agli asparagi.

Sta a noi in base alla nostra fame o gola decidere come approcciare i diversi elementi del piatto.

Tu sei tra i pochissimi che hanno cambiato lo schema del ristorante, il tuo pensiero però resta confinato, non pensi che inserendo nelle scuole la materia di “scienze gastronomiche” possiamo aiutare i giovani a capire l’importanza del cibo inteso come nutrimento?

Certo che sarebbe bello e importante insegnare ai giovani come ci si dovrebbe nutrire, io nella mia piccola comunità cerco di farlo, insegno la qualità di giornata, è inutile comprare un cibo, anche importante, che arriva da lontano perché la permanenza in frigorifero ne abbassa le caratteristiche organolettiche rendendolo dal punto di vista nutrizionale scarso.

Insegno ai genitori a lasciar assaggiare le pietanze nuove ai bambini, il nostro approccio è questo, assaggia se poi ti piace continuiamo altrimenti cambiamo, ed è un approccio che funziona.

Paolo Lopriore

Ho definito la tua cucina “sensata“ perché qui nel tuo ristorante tutto ha senso, il menu, il lavoro tuo e quello dei tuoi ragazzi e capire quello che stai facendo.

Si, ho avuto il grande privilegio di lavorare con Marchesi, ho avuto la fortuna di conoscere gli storici della cucina alla scuola dell’Alma, quello che faccio qui adesso è frutto del loro insegnamento.

La domanda che pongo a tutti: l’alta cucina è figlia della tradizione o può essere anche figlia del genio?

E’ figlia di un esigenza, se pensi alla nouvelle cuisine è figlia di una società che si modernizzava, così che diventava più semplice , da qui arriviamo al piatto già assemblato in cucina e si abbandona il trancio alla volee composto in sala.

Tieni presente che queste rivoluzioni sono state sostenute da grandi giornalisti gastronomici come Gault e Millau in Francia per la Nouvelle Cuisine e Rafael Garcìa Santos in Spagna per la cucina tecno-emozionale di Ferran Adrià. Noi in Italia siamo indietro perché nessun giornalista ci ha punzecchiato con il concetto di Italianità, perché noi siamo il Bel Paese. Ora che i movimenti si sono spenti cosa è rimasto di quella cucina? poco o niente, siamo in un periodo di stanca.

Con il movimento spagnolo di inizio anni 2000 c’era anche forse voglia di finire con la cucina francese…

Esatto, Ferran ci ha tolto il dettame della cucina francese, ci ha resi più liberi davanti ad un piatto e ha aperto la via ad altre cucine. Prima c’erano solo i francesi e un po’ noi italiani, dopo Ferran anche altri hanno potuto dire: anche noi cuciniamo e possiamo dire la nostra, nasce così la cucina nordica poi quella sud americana con il Perù ecc. Paolo Lopriore

Se nasce una cucina di riferimento come la nordica quasi in assenza di tradizione, anche in Italia possiamo pensare che la cucina italiana si sleghi dalla cultura famigliare?

La cucina di casa non è la salvaguardia della tradizione, oggi un cuoco deve studiare e ha il tempo di farlo perché gli orari in cucina non sono più massacranti; purtroppo oggi la formazione di un cuoco per i tre quarti non è legata al mestiere ma all’ego del cuoco; io sono andato dai Troisgros (ristorante tristellato a Roanne, Francia, nda) per imparare un mestiere, non per alimentare il mito e l’ego di Pierre Troisgros. 

Oggi si fa una cucina talmente effimera basata sul concetto di personalizzazione del cuoco, che quello che impari in un ristorante poi non riuscirai più a ripeterlo da un’altra parte, e l’esperienza rimane confinata. Però puoi capire il messaggio… si ma deve essere più concreto, se pensi di poter fare quello che fa Crippa (Enrico Crippa tre stelle ad Alba, nda) devi avere l’orto di Crippa e difficilmente te lo potrai permettere. Paolo Lopriore

Carlo Cracco sostiene che la ristorazione è un grande recinto dove all’interno c’è di tutto, bisognerebbe distinguerla in base alla qualità, il bar di qualità, la pasticceria di qualità, la trattoria ecc ecc. con una certificazione che proviene dal basso, da chi fa qualità.

Sono d’accordo con questo concetto, un cuoco bravo nobilita l’arte di cucinare attraverso la propria professionalità, ed il cliente trova la propria dimensione in base a scelta del momento. Oggi vado in trattoria o decido di mangiare un panino, domani per il l’anniversario scelgo il grande ristorante ed in entrambi trovo una grande qualità.

Paolo Lopriore

Ultima domanda, ultimamente nella maggior parte dei ristoranti stellati, perdonami il termine, troviamo solo menù degustazione e microporzioni, cosa ne pensi? Paolo Lopriore

E’ un fatto culturale, la microporzione è nata con Ferran Adrià e con la cultura spagnola delle tapas, noi l’abbiamo portata in Italia senza renderci conto che gli italiani hanno bisogno di tre concetti: la vista, il profumo e la sazietà.

A noi la microporzione non basta perché non possiamo “tornarci sopra”, noi siamo un popolo che fa la scarpetta con il sugo avanzato; abbiamo un concetto di cucina gustativa ed è questo che voglio trasferire ai giovani cuochi.

Pensiamo al coinvolgimento sensoriale di andare a comprare il pane dal fornaio e sentire quel profumo irresistibile che ti porta a mangiarne subito un pezzettino, rispetto alla sterilità emotiva di quando andiamo ad acquistarlo al supermercato sigillato.

Noi italiani abbiamo bisogno di questa passionalità, questa è la differenza: la microporzione toglie la passione. Paolo Lopriore

Paolo Lopriore

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