Sofferenze e privazioni nell’Italia dei conflitti mondiali
Di stefano Capone
E anche questa volta è andata.
La nostra indignazione da media distanza piano piano è ovviamente scemata con i primi rinfrescanti bagni per naufragare del tutto con le meritate partenze.
La prorompente solidarietà social per una guerra che ha rischiato e rischia ancora nonostante tutto di bruciacchiare anche le nostre delicate terga opache di talco, ha lasciato il passo ai meritati esodi vacanzieri.
E chi se visto si è visto.
Basta che ci mandano il gas.
Abbiamo sostanzialmente fatto quel che potevamo, inorriditi e sconvolti, proprio prima del mare, da questa inaccettabile violenza “nel cuore dell’Europa” (si dice così? Vero?).
Per aumentare l’enfasi e come se la violenza in altri cuori risultasse più digeribile).
Sì, abbiamo fatto tutti quel che potevamo, me compreso: far fare agli altri e riconquistare in brevissimo tempo una insana indifferenza alle cose del mondo.
Abbiamo però sventolato bandiere gialle e blu come se non ci fosse un domani ma, almeno, siamo giunti alla conclusione che si dice Ucraìna con l’accento sulla i.
Meglio di niente.
Ci sfugge qualcosa però.
L’intima sofferenza della guerra
Che scardina la vita dal di dentro e che dovrebbe essere nostra, anche mia, ma non lo è.
Mai.
Comprendo se lo sconosciuto suono delle bombe e delle sirene non ci smuovono essendoci estranei.
Fortunatamente. Per ora.
Ma, se ci pensiamo bene, la guerra è anche altro
Altro che conosciamo, almeno come sensazione, noi che se ci spostano il pranzo di un quarto d’ora ci sentiamo persi e privi di forze.
Giornate irrimediabilmente compromesse da una pasta scondita, da una bistecca troppo al sangue o una pizza poco lievitata.
Sì, la guerra è anche altro.
La guerra è fame.
Più bombe cadono più è difficile mangiare.
In guerra si muore di fuoco e si muore di inedia.
È un pensiero, la fame, che difficilmente si associa ai carri armati.
Ma ragionare anche di questo forse ci farebbe infilare il nostro infradito con un tantino meno di leggerezza.
Se non si prova la fame della guerra almeno si può leggere della fame dei conflitti.
E prezioso è il saggio di Marco Cuzzi Cibo di guerra
Badate bene, non è un romanzo.
Ci sono numeri, calorie, date
La storia non è un romanzo.
E neanche la fame.
Cibo di guerra racconta la difficoltà di nutrirsi, per truppe e popolazione, nell’Italia della prima e seconda guerra mondiale.
La fame è anch’essa arma, che distrugge animi e corpi e amplifica le istanze rivoluzionarie e bestiali.
Marco Cuzzi ci racconta con precisione accademica dei tre aspetti principali del cibo in guerra:
-
l’alimentazione del soldato al fronte che, se affamato, “concentra le poche, residue forze sulla ricerca di di cibo per razziare quanto gli serve”
-
la fame delle popolazioni coinvolte a cui viene razionato il cibo per mano dei propri governi al fine di “mantenere il più possibile costante l’alimentazione degli eserciti”
-
l’azione degli eserciti invasori che “scatenano sui territori occupati una drammatica e sovente incontrollata razzia (il bottino di guerra)..:”
E, non ultimo, inquietante risvolto, la “carestia indotta”, arma sistematica di genocidio.
Ed ecco, tra le pagine, la ricetta ufficiale del rancio militare della grande guerra che vede la progressiva e inesorabile rinuncia alla carne per colmare le marmitte di brodaglie ai ritagli di verdure.
E si racconta del pane, moneta e alimento principe.
Sempre duro e sovente muffito “..salvo distinguere tra una indigeribile muffa nera e più commestibili muffe bianche, verdi e azzurre…”
La galletta.
L’alcool come diversivo per confondere le menti affamate dei soldati.
La seconda guerra mondiale non è certo più prodiga di cibo per militi e civili, anche perché il carattere più politico e strategico dei regimi nel secondo conflitto fa della mancanza di cibo arma ancor più letale.
I surrogati, il pane nero, la carta annonaria e la cronica assenza di proteine animali sfiniscono i corpi.
Le ricette di Petronilla per cucinare col nulla.
La ciofeca.
La situazione insostenibile delle popolazioni italiane nei primi anni 40.
Niente proteine ma neanche pasta, riso, olio.
Manca la base minima della sussistenza.
Del cibo fa ricatto infame il mercato clandestino che “… deve godere di una specie di immunità perché i migliori suoi clienti sono proprio coloro che dovrebbero colpirla”.
“Cibo di guerra” di Marco Cuzzi, restituisce forma e peso concreti ai racconti di fame di nonni e bisnonni che, in verità, abbiamo sempre ascoltato con pavida sufficienza.
Fame e guerra, è da sempre triste binomio.
Come …” il terzo cavaliere dell’Apocalisse, la nera Carestia, segue il rosso demone della Guerra, come un’ondata di distruzione parallela”.
Nell’Italia dei conflitti mondiali ma nella stessa misura in tutte le nuove guerre. Ovunque.
Non è semplice raccontare Cibo di guerra di Marco Cuzzi perché è compendio denso di fonti, numeri, dati e ricerca.
Non è semplice raccontarlo ma è opportuno leggerlo.
Anche perché l’estate sta per finire e possiamo ricominciare a indignarci un po’…
Almeno fino a Natale.
Cibo di guerra
Sofferenze e privazioni nell’Italia dei conflitti mondiali
Biblion Edizioni – pag. 142
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Stefano Capone