Elogio della complessità.
Di Serena Manzoni,
Signore e signori miei, mi sono un po’ stancata di tutto questo semplificare e chiarificare e sfrondare discorsi e idee (ma anche i piatti) da tutto quello che è di difficile comprensione. Evviva l’enigma ed evviva la complessità. Un evviva anche per lo sforzo di dover capire, interpretare, magari addirittura studiare.
Tutto questo per introdurre un artista che mi costringe a pensare, a interpretare e studiare le sue opere e il suo pensiero, dopo essermi lasciata attrarre dall’incanto dell’opera, dal primo e magico momento che è quello dell’epifania. Insomma, prima ti lasci innamorare dell’opera e poi la indaghi.
Sto parlando di Vettor Pisani, artista italiano la cui prima personale è del 1970: Maschile, femminile e androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp alla Galleria La salita di Roma.
Visionario, profetico ed oscuro, labirintico. Arte e storia dell’arte, filosofia e esoterismo sono per lui linguaggio e prodotto della sua arte, un’ arte che si avvolge su sé stessa, un’arte che diventa speculazione filosofica e critica.
“Ho fatto una mostra come fare il critico di Marcel Duchamp. Un critico che usa gli stessi pensieri, gli stessi mezzi e lo stesso linguaggio dell’artista, per parlarne”.
Arte che parla di arte, arte che parla del mondo attraverso simboli e visioni, opere che sono quasi dei rebus ermetici e dissacranti. Vettor Pisani usa la storia dell’arte, pesca a piene mani in essa e attua un processo originalissimo di reinvenzione e risemantizzazione, con un tocco estremamente colto e allo stesso tempo ironico.
Tra le opere di Vettor Pisani ce ne sono due di cui vi voglio parlare, trovandoci, forse in maniera un po’ forzata lo ammetto, l’immancabile Gastrodelirio…
Sono due Veneri, una è la “Venere di cioccolato che si scioglie in mare” e l’altra “Camera dell’eroe. Venere di cioccolato” (a volte la troviamo come “Suzanne in uno stampo di cioccolato”) ovvero un calco in gesso di una testa di Venere ricoperta di cioccolato su cui incombe un peso da ginnastica dorato.
Una lapide ci ricorda Marcel Duchamp e la sorella Suzanne con chiari riferimenti a temi incestuosi. La prima opera invece è composta dalla stessa testa di Venere di cioccolato appoggiata su un carrello coperto di specchi accompagnata da una piccola pentola sopra un fornellino contenente del cioccolato sciolto. Insomma, la dea della bellezza e dell’amore, la dea pelagica che nasce dalla spuma del mare come se fosse uno specchio, messa in situazione di pericolo.
Venere su cui pende un peso che potrebbe frantumarla, Venere o la bellezza che si disintegra con il calore molesto delle fiamme di un fornellino. Fine della bellezza, fine dell’amore: se sarà la bellezza a salvare il mondo, sicuramente nella visione di Vettor Pisani, le speranze svaniscono nella stupidità, in questo nulla vacuo che ci avvolge e scioglie ogni giorno di più. Fine del mito, fine della speranza?
Vettor Pisani ci introduce alla tragedia con ironia, quasi con leggerezza. Citando Renato Barilli: “l’arte di Vettor Pisani è costitutivamente nutrita di passaggi continui dall’alto, dal sublime della scultura più raffinata,anzi esoterica, iniziatica, al basso di improvvisi riscontri con la prosa quotidiana e “popolare”.
In termini di teatro classico, diciamo che si tratta del conflitto tra tragedia e commedia” *
La bellezza, simboleggiata dalla divinità che la rappresenta, si presenta di una sostanza piuttosto fragile: potrebbe frantumarsi come un uovo di pasqua se il fatidico peso/destino le cadesse addosso e si potrebbe liquefare miseramente in un pentolino di metallo.
Le due opere hanno dialogato nella mostra “Vettor Pisani, Eroica/Antieroica: una retrospettiva” tra il dicembre 2013 e il marzo 2014, tra il Museo Madre (Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina) di Napoli e il Teatro Margherita di Bari.
Invece nella mostra del 1970 che abbiamo citato era presente l’opera “Carne umana macinata” ovvero della carne tritata avvolta in plastica trasparente che durante la mostra imputridiva, inesorabilmente marciva. C’è spazio anche per il perturbante…
Naturalmente quanto scritto non è che un piccolo accenno alla figura e alla produzione di un artista davvero poliedrico, non si è detto ad esempio del suo saltare da una forma artistica all’altra, dal teatro all’architettura alla poesia alla performance, creando e citando, la sua è un arte “che fa vedere l’indicibile” (sono parole di Vettor Pisani), un’arte totale; il mio quindi è un invito al viaggio in questo labirinto tra sfingi e tartarughe, Madonne e pianoforti rovesciati.
* dal catalogo “Che cosa fanno i concettuali oggi?”, Rotonda di Via Besana, Milano 1986
Serena Manzoni