Una riflessione profonda di Paolo Mandelli sul senso della cucina contemporanea, ispirata dal lavoro dello chef Alberto Gipponi.

Di Paolo Francesco Mandelli
Alberto Gipponi è uno chef straordinario tra i pochi in Italia che si dedica con rigore e coraggio alla ricerca di una nuova identità per la cucina italiana. Gipponi è un cuoco che riflette, che prova – riuscendoci o meno, ma sempre con grande impegno – a spostare l’attenzione del commensale dal semplice gusto all’atto stesso del mangiare come momento di pensiero.
Il tema che propone è, a mio avviso, uno dei più interessanti emersi negli ultimi anni: la rilettura del piatto.

Non il piatto come opera chiusa, che si consuma e si dimentica, ma come oggetto di riflessione e di ritorno. Un piatto da cui si impara, che va assaggiato, riassaggiato, compreso nel tempo. Un piatto che evolve nel pensiero di chi lo mangia.
Gipponi ha lanciato una proposta concreta: un abbonamento al ristorante. L’idea è che non si venga a cena una volta sola, ma che si torni più volte, per rileggere un piatto, per scoprirne nuove sfumature, per entrare in sintonia con il pensiero che lo ha generato. Perché la sua cucina non è immediata. Lavora sull’essenziale – acqua, farina, sensazioni di pasta – ma è proprio in questa apparente semplicità che si nasconde una complessità che merita tempo, attenzione e ritorno.
Questa proposta tocca un nodo cruciale: la superficialità con cui oggi si vive l’esperienza del ristorante. Ultimamente il ristorante è diventato un vizio sociale. Si va per status, per collezionare “esperienze” come si collezionano app. di tendenza, senza ascoltare davvero, senza lasciarsi toccare. È un po’ come inserire Šostakovič come suoneria del telefono: si pretende di portare con sé un frammento di alta cultura, ma lo si riduce a un sottofondo vuoto, svuotato del suo significato. In questo contesto anche il migliore piatto rischia di diventare un oggetto da collezione, o peggio una tacca nel CV delle esperienze da esibire.
“Un piatto, se davvero è espressione di un pensiero, non può esaurirsi in un solo incontro.”
In questo contesto, l’idea di Gipponi appare rivoluzionaria. Perché rimette al centro il tempo, la riflessione, il percorso. Non solo quello del cuoco, ma anche quello del commensale. Ed è qui che nasce un altro punto fondamentale: la reciprocità. Un cuoco che lavora a questo livello non può più accontentarsi di ricevere denaro.
Ha bisogno di un ritorno intellettuale, di un riscontro sul piano del pensiero. Per questo l’idea di organizzare cene su invito, in cui il pagamento non sia economico ma intellettuale (un testo, una riflessione, un pensiero scritto), è qualcosa di straordinariamente potente che spezza il legame tra cucina e privilegio economico e lo sostituisce con un nuovo patto più profondo e democratico, chi ha un pensiero da offrire può accedere alla cucina in cambio di idee che spingano oltre lo chef.
Potrà sembrare elitario, e in effetti lo è. Ma lo è nel senso migliore del termine: si rivolge a chi vuole essere parte di un pensiero, non solo testimone passivo. È un’idea che forse interesserà pochi – ma questo non è un problema. Potrebbe essere quella breccia nel muro di una cucina italiana ormai sempre più dogmatica, chiusa su ingredienti da idolatrare o bandire, più attenta al marketing che al significato.
Noi, che ci occupiamo di critica, abbiamo la responsabilità di dare spazio, voce e strumenti a cuochi come Gipponi. Perché forse – finalmente – la gastronomia può tornare a essere pensiero, dialogo, tempo, non solo spettacolo o consumo ma il luogo dove dare valore alla lentezza. La lentezza dell’ascolto, del ritorno, del cambiamento di idea.
Un piatto, se davvero è espressione di un pensiero, non può esaurirsi in un solo incontro, così come una poesia o una sinfonia. E in fondo, quello che Gipponi propone è proprio questo: trasformare il ristorante da luogo di passaggio a luogo di relazione. Tra chi cucina e chi mangia, tra chi pensa e chi risponde, tra chi crea e chi rielabora.
È un passo piccolo, ma necessario. E chi lo compie per primo, non sta solo cucinando: sta educando.
Ristorante Dina
Alberto Gipponi
Via XX Settembre 19, Gussago (BS), Italia
Sito: www.ristorantedina.it
Instagram: @alberto_gipponi

Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.