Il buono e il bello era il mantra a cui tutti gli chef si attenevano per guadagnarsi le stelle Michelin.
La perfezione si manifestava con l’eccellenza delle materie prime, la precisione della cottura e con la salsa d’accompagnamento esemplare per gusto e abbinamento: queste erano le caratteristiche che permettevano ad un piatto di entrare nella memoria gustativa di ognuno di noi.
Nel 1985 Gualtiero Marchesi conquista le tre stelle Michelin
Uomo colto, amante di musica e pittura, si ispira per primo alle opere di arte contemporanea per costruire i suoi piatti: il Dripping di pesce liberamente tratto dall’opera di Pollock o Il Rosso e il nero per la coda di rospo al nero di seppia su salsa piccante, ispirata all’arte astratta italiana, sono piatti emblematici.
La cucina di Marchesi trascende il gusto, e si concentra su come trasportarla nell’alta cucina sino ad allora appannaggio dei francesi. I social hanno modificato l’alta cucina
Il riferimento all’arte diventa il metodo di codificazione dei piatti.
Marchesi usa l’arte contemporanea come gli inglesi usarono Enigma nella seconda guerra mondiale per decifrare i messaggi in codice dei tedeschi.
I suoi piatti possono essere così compresi da gourmet internazionali e dalla critica di settore come piatti di alta cucina.
Per questo motivo Marchesi è giustamente considerato il vero grande maestro della cucina italiana.
Dopo di lui i suoi bravi e tanti discepoli hanno trovato la strada aperta, conquistato il bello, si sono dedicati al buono sviluppando la nuova cucina italiana con abbinamenti e ingredienti nuovi; tra i tanti ricordiamo l’uso dell’umeboshi di Enrico Crippa, contaminazione delle esperienze giapponesi e il matrimonio tabu’ di musetto di maiale, scampi e pomodori verdi di Carlo Cracco.
In questi ultimi anni la cucina ha subito l’invasione dei social network; con la supremazia dell’immagine ora i nuovi gourmet sembrano più interessati a fotografare i piatti piuttosto che a degustarli, per poi condividerli con sconosciuti attraverso Instagram.
Il gusto è subordinato alla vista e lo chef è ostaggio di questa dinamica
Il risultato è la costruzione di un menù di degustazione fatto di piccole portate, eccessivamente lungo, spesso superficiale a volte stancante a cui ci si sottomette in maniera passiva; è come scorrere immagini su Instagram.
Per fare un paragone con la musica, tanto amata da Marchesi, ci si limita a comporre piacevoli ritornelli senza mai sviluppare l’intero brano.
Davide Paolini descrive bene questo momento storico nel libro: “Crepuscolo degli chef”.
Queste cene lunghissime fatte di piccole portate ci stanno facendo perdere la memoria gustativa di un piatto, quella che cresce piano piano e che vorremmo mai finisse, quella che ti soddisfa la voglia.
Sono questi piatti che ci portiamo dentro di noi, quelli che ci ricordano un viaggio, una persona, un luogo. La cucina ha un potere evocativo fortissimo che abbiamo bisogno di coltivare e mantenere.
I social hanno modificato l’alta cucina

Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.