Di Fabio Riccio,
Li ricordate?
C’è stato un tempo, specialmente nell’ultimo scorcio del secolo ventesimo, quando in Italia panini & paninoteche erano sulla cresta dell’onda.
Li trovavi ovunque. La sopravvivenza del panino
Sulla qualità di parecchie di queste paninoteche, nel nuovo millennio quasi estinte, è meglio stendere il classico velo pietoso, perché spesso in questi panini ci si metteva dentro di tutto di più, purché costasse poco, pochissimo.
Tonno malamente ridotto a fette con grissini, salse rosa, gialle, verdi & blu ma tutte dall’identico sapore, funghi mollicci in scatoletta fatti in serie, salumi dai preoccupanti colori tenui, scamorze (ma nel vero senso della parola, non come formaggi), salmoni che loro malgrado risalivano fiumi adriatici e tirrenici, e chi più ne ha più ne metta in un (quasi) girone infernale di improbabili accostamenti da dimenticare. La sopravvivenza del panino
L’unica lato positivo della faccenda, escludendo i già furoreggianti fastfood e i loro emulatori, era che i panini delle paninoteche il più delle volte erano fatti di pane vero, quasi sempre da qualche forno nelle vicinanze, questo non come precursori del Km zero, ma solo per mero calcolo economico.
Però, diciamocela tutta, per gustarsi un buon panino, era quasi sempre meglio andare dal salumiere sotto casa!
Così, la nobile arte di approntare in tempi rapidi un panino, peculiare di quel decennio, un po’ per pigrizia, un po’ per necessità, è quasi andata perduta.
Onestamente, non ne sento troppo la mancanza.
I panini, mestamente sono rientrati nelle loro teche – quasi tutti…
Un male? Non lo so. La sopravvivenza del panino
Qualcosa è cambiato, senza che ce ne accorgessimo.
Alla chetichella, come spesso accade, anche per i panini è arrivato il riflusso.
Le paninoteche sono poco a poco scomparse, per poi estinguersi, quasi come l’Homo neanderthalensis, i paninari invece, lo avevano già fatto anni addietro – meno male!
La sopravvivenza del panino
Di giorno, le paninoteche sono state rimpiazzate dai mille e più baretti da pausa pranzo, dotati di vere e proprie batterie contraeree di fornetti microonde e piastre roventi, logicamente impregnati di odore di formaggio fuso & bruciacchiato.
La sera invece, hanno lasciato il passo alla calata barbarica dei più svariati e inquietanti buffet da happy hour et simili. Con finger food, pizzettine stantie, carotine, tartine etc etc.
Oggi, quando ancora resiste, nel ventunesimo secolo, il panino per sopravvivere si è giocoforza camuffato in un una cosa di sfavillante, necessariamente gourmet, o per meglio dire… presunto tale.
Cambiare per sopravvivere, lo diceva anche Darwin.
Selezione della specie.
Selezione del panino.
La sopravvivenza del panino, appunto.
Però, il panino del nuovo millennio, se non è farcito di qualcosa di esotico, oppure non ha un nome singolare non va mica bene, diciamocela tutta.
– Pane e salame, pane e mortadella, magari con una bella fetta di provolone no, che volgarità!
Roba da autostrada o da vecchietti che fanno merenda!
Pane di qualche antico cereale, dal sapore, forma, gusto e digeribilità improbabile, imbottito di cosciotto di Yak d’alta quota del Tibet occidentale, stagionato 72 mesi, che anche se al gusto non sa di nulla… sì che va bene e fa’ tendenza!
E io… che ancora ripenso con affetto al semplice e saporito pane & prosciuttella della salumeria-alimentari “Buonviaggio” di Via Roma, vicino a casa!
Però, e proprio negli ultimissimi anni, una ulteriore moda (mania?) sta prendendo piede.
Come ho già detto, panini e paninetti del nuovo millennio, a prescindere cosa ci si mette dentro, per essere presi in considerazione da un “certo tipo di pubblico”, devono essere rigorosamente fatti solo con farine speciali & integrali, possibilmente rare e costose (che non significa automaticamente “buone”), meglio ancora se dal marchio registrato (®).
Farine indispensabilmente “bio” (anche se pochi, lasciatemelo dire, hanno una chiara, oltre le rituali romanticherie da mulini bianchi) idea di cosa in realtà significa e rappresenta questo termine.
Ci avete mai fatto caso?
Qualcuno si è mai preso la briga di spulciare bene i disciplinari di produzione di tanti prodotti “Bio”?
Il sapore?
Beh, lasciamo stare, nonostante il gran parlare, rimane sempre un optional…
Dimenticavo… mai e poi mai nel pane per i “panini gourmet” del 21° secolo, deve comparire una pur minima traccia dell’aborrita farina doppio zero, considerata da molti gastro-complottisti d’assalto veleno allo stato puro, e causa di tutti i mali del mondo, fanta-allergie & fanta-intolleranze comprese.
La sopravvivenza del panino
Il panino nel ventunesimo secolo dell’era volgare… si è ammantato di nobiltà gastronomica e di marchi registrati, altro che la michetta, o il panino boscaiolo degli anni ’90 del secolo scorso.
Sopravviverà anche lui, oppure come tutte le umane faccende avrà un ciclo, soccomberà per poi estinguersi o forse tramutarsi ancora?
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?