Di Fabio Riccio
Scoprire un modo diverso di fare, ma ancor più di concepire il vino.
Il tutto a Pescara, nella bella cornice del Museo delle genti d’Abruzzo, dove ieri 19 maggio 2014 è stato ospite un personaggio di rilievo dell’enologia italiana, Salvo Foti. Ma ancor di più, è stata una serata mirata alla scoperta di un territorio (l’Etna) dove la viticultura ha una lunga, lunghissima storia.
E’ impresa difficile con le sole parole spiegare le tante, e a volte dissonanti anime di un territorio così particolare, anime che però magicamente trovano modo di manifestarsi nelle diverse sfumature dei suoi vini.
D’altronde, la grandezza di un territorio naturalmente votato alla vitivinicoltura come l’Etna sta, anche nella capacità di palesarsi nelle belle interpretazioni dei non pochi vitigni locali, rimanendo però sempre originale, e il più delle volte su livelli davvero alti.
Nel nuovo millennio, e in pieno calo dei consumi di vino in atto (ma non in quello degli altri alcolici), siamo immersi letteralmente nell’eccesso di tecnologia in cantina (ma anche in vigna…). Siamo ancora nell’era dell’abuso di lieviti che “inventano” letteralmente certi vini, e delle vere e proprie alchimie da illusionisti in camice bianco, che anche da uve decisamente modeste, letteralmente strizzano cose e sentori impensati, non so’ bene quanto reali.
Talvolta è calzante il paragone con i “maghi” (si fa’ per dire), alias certi allenatori di calcio molto
in voga negli anni ’60 del secolo scorso che, promettevano sfaceli con l’ausilio di strane danze e riti, però solo per chi aveva i cosiddetti piedi buoni…
Non è il caso certamente di Salvo Foti, che invece i piedi li ha ben piantati per terra, ma nella sua terra, quella terra sempre disputata, a volte provvisoria, strappata alla montagna (l’Etna).
Dicevo prima, di un modo diverso di fare, ma anche di concepire il vino.
Il termine vino naturale in verità sta un po’ stretto a Salvo Foti vedi – http://www.lucianopignataro.it/a/salvo-foti-vini-naturali-invenzione-del-marketing/40769/ – e credo che abbia anche ragione.
Effettivamente il termine naturale per il vino, negli ultimi anni è stato usato spesso a sproposito.
Diciamo che il sottoscritto utilizza per praticità il termine (molto) generico “naturale” ma nell’accezione d’oltralpe (vins naturels), questo per indicare vini fatti e concepiti per interpretare e esprimere (nel bicchiere…) in profondità il territorio dove nascono, senza l’abuso di tecnologia invasiva, ma anche senza inutili ed esagerati esoterismi che poco hanno a che fare con la realtà di chi con il vino ci lavora tutti i giorni.
Vini per quanto possibile “nudi”, ma cosa più importante anche vini che devono scaldare il cuore e farsi piacere centellinando emozioni, e questo ultimo aspetto credo che sia quello che veramente è la (mia) vera discriminante per definire buono o meno buono un vino…
Ma Salvo Foti oltre al grande lavoro fatto sul territorio come enologo, lavoro che lo ha portato a essere considerato come il moderno padre della viticoltura dell’Etna, è anche colui che ha riportato in auge un antico sodalizio di vignaioli dell’Etna, i Vigneri.
A Catania nel 1435 viene costituita la “Maestranza dei Vigneri”. Questa associazione di viticoltori, operante sull’Etna, creò la basi per una professionalità vitivinicola di cui protagonisti erano gli stessi produttori-viticoltori. Dopo 500 anni, I Vigneri è una realtà operante sull’Etna ed in Sicilia orientale. I Vigneri è oggi il nome dell’azienda vitivinicola di Salvo Foti. I Vigneri è la sintesi di una esperienza più che trentennale svolta in Sicilia Orientale, attraverso una ricerca storica, sociale e tecnica finalizzata ad una vitivinicoltura di “eccellenza”.
Cercando di utilizzare strumenti e sistemi non invasivi, nel rispetto, fin dove è possibile, della tradizione, dei propri antichissimi vitigni, senza apportare stravolgimenti enormi dettati da velleità, egoismi o onnipotenza. Lo spirito del lavoro e il piacere di ben lavorare e fare, senza frenesie, in armonia prima di tutto con se stessi e quindi con tutto quello che ci circonda: ambiente, natura, il vulcano Etna, di cui si è parte, non al di sopra. I Vigneri è anche un sistema organico di fare vitivinicoltura nel rispetto dell’ambiente in cui si ci trova.
I Vigneri è un progetto più che condivisibile per chi ama il vino, un progetto che piace molto anche a noi di gastrodelirio.
Un progetto che mette in prima territorio e ricerca dell’eccellenza, per cercare di ritornare a quel tipo di vino, che nella sua immaginaria perfezione sarà forse una chimera irraggiungibile, ma che in fondo è il tipo di vino a cui tutti noi aspiriamo.
Meditando sul progetto dei “I Vigneri”, mi è ritornato alla mente più limpido che mai un brano del compianto Mario Soldati, brano tratto dal suo celeberrimo “Vino al vino” – brano forse “datato”, ma che oltre ad essere perfettamente aderente ancora oggi con quello che è il progetto de I Vigneri, rende molto bene l’idea di vino che si dovrebbe avere.
Uno degli errori più gravi e più comuni in cui oggi incorrono molti consumatori di vino è di credere che un certo vino, riconoscibile al nome e all’etichetta, debba essere sempre uguale a se stesso, e sempre buono se una volta è stato trovato buono: di chiedere, dunque, al commerciante un vino che risponda a requisiti di “continuità”.
(…) Esigere un vino “stabile” è la più grande sciocchezza che un bevitore di vino possa commettere. (…) D’altra parte, i produttori, sostenuti dagli enologi (da quasi tutti gli enologi), non denunziano la sciocchezza, non si oppongono minimamente alla “esigenza della stabilità”; e si giustificano con un argomento, secondo loro, inoppugnabile e sovrano: si tratta, dicono, di un’esigenza, di una richiesta avanzata dalla maggioranza dei clienti, i quali, naturalmente, “hanno sempre ragione” La scelta, proclamano, non è mai imposta dal produttore, ma sempre dal consumatore, e cioè dalla maggioranza dei consumatori. (…) La verità è che, in fatto di gusto, nessuno potrà mai sostenere che la maggioranza abbia necessariamente ragione. (…) Giacché la minoranza, sempre più esigua, che difende il vino genuino e instabile, non pretende affatto di governare i consumatori e i produttori, né di proibire il vino troppo lavorato e troppo stabile: si limita a compiangere codesta maggioranza e a consigliarle di convertirsi, per il suo bene. Nel vino, come nella cucina, può succedere che il parere di una persona sola sia più giusto del parere di milioni di persone.
Tornando alla serata, dopo, e tra le spiegazioni sulla viticultura dell’Etna e del Salvo-Foti-pensiero tra l’altro ben esplicitate anche nei libri dell’autore, La Montagna di Fuoco e Etna i vini del Vulcano, abbiamo anche degustato cinque interessantissimi vini de I Vigneri, ben diversi tra loro.
Nella mia personalissima e sicuramente fallace lista delle delle preferenze, e senza scendere in troppi dettagli tecnici devo dire che ho apprezzato molto il Carricante “Vigna di Milo, vino che in passato avevo già provato. Questo carricante mi ha molto colpito per il suo essere quasi per nulla tannico, acido quanto basta ma ammiccante, e nel contempo con una complessità aromatica che quasi ricorda certi Riesling. Persistente nella giusta misura, dopo una mezz’ora di stazionamento nel calice ha regalato anche alcune lievi note quasi muffate, cosa che lo ha reso ancora più affascinante.
Altro vino che mi ha colpito, assecondando il mio prediligere i vini un po’ estremi è stato il Vinudilice, un qualcosa che già dal colore nel bicchiere narra di altri tempi. Un vino per il quale voglio spendere l’aggettivo ancestrale, un vino che davvero va’ dritto al cuore, saltando gli altri sensi, tutto il resto è fuffa.
Il Vinudilice è un rosato figlio di una vigna a 1300 metri con alberelli vecchi anche 200 anni, coltivati con l’aiuto dei muli perché lissu’ non ci sale nessun altro che non sia il viticoltore, oppure uno degli ostinati quadrupedi.
Ora non ricordo l’uvaggio, ma pur non preferendo in genere i rosati (ma non i cerasuoli nello stile abruzzese) devo dire che anche questo vino ha centrato immediatamente il bersaglio del cuore. Al naso confettura, ciliegia, e mandorla amara, ma anche da subito freschezza, tanta frutta e affascinanti sentori di caminetto spento.
In bocca è fresco e di amabilissima beva, e sin da subito lo ho inserito nel novero di quei vini che non vorresti mai che finissero. Gastrodelirante? Certamente si… anche per il gran finale, sontuoso, limpido e lunghissimo.
Pretendere che non bisogna cambiare vini è un’eresia; la lingua si satura; e, dopo il terzo bicchiere, il migliore vino non risveglia che una sensazione ottusa.
Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, 1825
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Il pensiero di Salvo Foti, e il suo metterlo in pratica con i vini può essere condiviso o meno.
Certamente un approccio molto tecnico, come giustamente fa notare l’autore, non sempre è indispensabile nel giudicare un vino.
Ma non vedere alcuni chiari problemi tecnici in più di un Vino di Salvo Foti, “mascherati” da aggettivi roboanti mi sembra poco corretto dal punto di vista dell’onestà intellettuale. Ma si sa’… quando ci si infatua di una cosa, si tende sempre a passare sopra gli evidenti difetti della cosa….
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