IL SERVILISMO GASTRONOMICO
Di Fabio Riccio
In tanti anni di vagabondaggi gastronomici per le italiche contrade, da nord a sud mi è capitato di tutto. Per tutto… intendo proprio di tutto! Noi gastro-critici di provincia siamo volti noti. Ogni tanto si è invitati come “esperti del settore” a manifestazioni e convegni di tema alimetar-gastronomico.
Immancabilmente in questi consessi qualche ristoratore ci capita… e da li a distribuire “foto segnaletiche” del critico, o solo delle descrizioni fisiche del sottoscritto e dei suoi colleghi, il passo è breve.
Aggiungiamo anche che alcuni ristoratori sono anche nostri amici, e la frittata è fatta.
Un buon 50% degli chef conosce le sembianze del sottoscritto e dei suoi colleghi delle zone limitrofe (e non solo): questo è un mero dato statistico.
Va bene direte voi, e con ciò? Senza scomodare il famoso professor Cuozzo, esperto in medicina Taoista che per ogni interrogativo o asserzione non lesinava il suo celebre “e con ciò?”, questo è un bel problema.
Gli esseri umani sono fatti di carne (e le mucche, i maiali, gli agnelli etc etc poverini, di che sono fatti?), ma quello che spesso li differenzia da altri bipedi e quadrupedi, è il pensiero e i sentimenti. Almeno così dicono…
Sentimenti? Si, sentimenti!
E… il servilismo, forse rientra tra questi ultimi? Chissà.
Ora, vorrei raccontarvi un caso di servilismo “estremo da ansia di inserimento in guida”, capitatomi qualche anno fa’ in un onestissimo ristorantino di un piccolo (e delizioso) tra le montagne d’Abruzzo e Molise.
Beh… pioggia o non pioggia avevo davvero fame.
Solita scarpinata automobilistica. Tornanti, strade più adatte ai muli che alle 4 ruote, dei muli, pioggia, grandine, vento e tutto quello che il cielo potevano propinare.
Il locale è il classico “multitutto” da paesotto montano non proprio sperduto. Pizzeria (la sera), carne, pesce e menù del territorio.
Premetto che avevo già visitato cotanto posto… e mi aveva ben impressionato il menù territoriale, veramente degno di nota. Riguardo alle pizze… beh, lasciamo perdere.
Nelle precedenti visite ero riuscito fortunatamente a mantenere l’incognito.
Ma complice una manifestazione dove un “disgraziato” di assessore aveva ben pensato di “farsi bello” presentarmi ai gestori del locale, ero a rischio di essere conosciuto anche li.
Ok, entro e non vedo anima viva, solo un televisore che blatera…
Comunque sia, mi siedo a tavola: qualcuno arriverà.
Occhieggiando con attenzione un avventore c’è: un omone formato Pavarotti impegnatissimo a demolire una bisteccona degna della sua mole.
Qualche minuto e arriva uno dei gestori del locale. Il tizio mi riconosce al volo, e dalla faccia sorpresa e preoccupata capisco che ha capito quale sarà il mio compito: recensirlo.
“La miglior difesa è l’attacco”, sentenziava il principe di Metternich (e se non fu proprio lui a dirlo, poco mi importa) quindi… precedo io lo stupore del ristoratore e lo saluto.
Brevi convenevoli di rito e inizio a chiedere cosa c’è.
Esiste anche un menù scritto che inizio a consultare.
Per farla breve, dei piatti locali indicati nel menù solo il 30% pare realmente esistere… ordino un antipasto e poi i “canonici” primo e secondo.
L’antipasto in questi ristoranti “filo-montani” pare sia sempre lo stesso. L’unica cosa che talvolta segna la differenza, è la qualità del prodotto, che varia notevolmente a seconda del locale.
Spiando nella finestrina della cucina, avevo notato un certo trambusto, non giustificato dai soli tre avventori presenti.
Oltretutto, dal retro era sgusciato di volata un ragazzotto che, inforcando un rumoroso motorino, era partito con una sgommata neanche fosse Valentino Rossi in procinto di vincere il mondiale.
Attendo.
Dopo dieci minuti arriva l’acqua.
Dopo quindici minuti arriva il pane: meno male.
Dopo venti minuti nulla: il pane è terminato, i grissini pure, l’acqua quasi.
Al venticinquesimo (del primo tempo???) arriva il vino: un onestissimo sfuso; brindo da solo a non so più che cosa, forse alla rapidità del servizio.
Dopo trentacinque minuti si ode il rombo del motorino, e il ragazzotto con al seguito tre borse di plastica si fionda in cucina.
Al quarantaduesimo minuto (ore 13,50) si spalanca la porta della cucina e fa il suo ingresso in sala un vassoio metallico di circa un metro di diametro, con sopra ogni grazia di Dio che il bel territorio circostante offre.
Figuriamoci se era per due quanto poteva essere il diametro del vassoio…
Onestamente è tutto buono.
Nel frattempo qualche altro cliente era arrivato (in quasi-montagna forse mangiano tardi?) e sbirciando nei piatti mi accorgo che mica mangiano il nostro medesimo antipasto… anzi: i loro piatti sono miseramente striminziti e con altre cose. Forse saranno clienti che pagano con i buoni pasto…
Ma da qui a fare uno + uno il passo è, breve.
Seguono primo e secondo, entrambi saporiti e ben eseguiti.
Chissà perché le belle bistecche che sono state servite al resto della clientela a me non sono state neanche proposte. E dire che avevo voglia di una bistecca al sangue.
Chiedo dei dolci.
A questo punto, come folgorato da una saetta, uno dei gestori inizia a sciorinare una lista di dolci e dolcetti da fare invidia ad una pasticceria di Palermo, e anche una lista di delizie di cioccolato & Gianduia neanche fossimo ad una gara di pasticceria al centro di Torino.
Inutile aggiungere che il ragazzino “motorizzato” era nel frattempo rientrato carico di vassoi incartati con in bella vista il marchio di una vicina pasticceria.
Prendo un po’ di millefoglie e dei dolcetti secchi. Non sono male dopotutto.
Peccato che… al tavolo di fianco, vengano serviti dei “tristissimi” gelatucci di una nota ditta (forse) fondata due secoli fa dal “compagno” del poeta Leopardi. Chissà perchè a me non li hanno proposti…
Per farla breve arriva il conto.
I gestori vogliono offrire loro il pasto – Citando l’Ex presidente della Repubblica Scalfaro… dico: Non ci sto!!!
Tira e molla degno di una trattativa da bazar e… alla fine, riesco a “spuntare” di pagare quanto dovuto, e persino ad avere una regolare ricevuta fiscale.
Domanda per i miei lettori: ma vi sembra giusto? Servilismo gastronomico?
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Gent. mo Sig. Riccio,approfitto di questo spazio perchè ho sentito il suo intervento alla giornata di presentazione del libro di Mariassunta Palazzo lo scorso 22 novembre. Mi diletto anch’io in cucina e sono d’accordo con molte cose che lei ha espresso in quella occasione. Mi chiedevo però se ha mai assaggiato il pane di Di Mambro di Venafro, cotto a legna. E’ una specialità e mantiene anche una buona conservazione. A Campobasso ha soppiantato tutti gli altri forni. Del pane di matrice che tanto gradisce lei, io compro spesso le rosette. Spero di colloquiare con lei di persona. La saluto cordialmente e le auguro buon lavoro.
Mariarosaria Di Renzo