E poi ditemi che non si cambia…

E poi ditemi che non si cambia…

Di Serena Manzoni

Ci sono delle cose che mi sono sempre piaciute e che continuano a piacermi, nonostante gli anni che passano e i capelli che imbiancano: il rumore delle onde che si ritirano in schiumosa risacca, il vento, l’atmosfera elettrica prima del temporale (anche se mi mette in E poi ditemi che non si cambia...agitazione), lo stile delle flapper girls e le canzoni italiane degli anni sessanta, i fagiolini, fare il bagno, leggere… Ci sono anche delle cose che non mi piacevano e che adesso mi piacciono. Scusate la semplicità dei termini che uso, ma mi sembrano i più efficaci per andare al sodo senza perdermi nei miei soliti svolazzi. Tra queste ce ne sono alcune che hanno a che fare con la lettura, con certi autori che ho tentato in altri tempi, senza che mi avessero colpito o addirittura che mi si erano presentai noiosi ed ostici. Non credo che abbia a che fare con la difficoltà di certe opere o con questioni di maturità diciamo così intellettuale, o forse sì. Non troppi anni fa provai a leggere La neve dell’ammiraglio di Álvaro Mutis reagendo in maniera abbastanza freddina; qualche mese fa riprendo in mano lo scrittore colombiano e mi trovo sopraffatta da una fame vorace dei suoi libri, uno dopo l’altro, mai sazia.

Stessa cosa per Josè Saramago: lessi Memoriale dal convento negli anni universitarE poi ditemi che non si cambia...i senza che facesse scattare in me particolari reazioni, adesso, ogni volta che vado in libreria, mi compro un Saramago nella speranza che non finiscano mai, che non mi lascino mai sola. Stessa sorte, anche se in maniera meno emotiva, l’ha subita Garcîa Márquez… attacco (nuovamente) L’amore ai tempi del colera e mi ritrovo automaticamente a leggere Vivere per raccontarla, autobiografia degli anni giovani nella Colombia del nostro Gabo.

Non si legge tanto di cibo in queste pagine, soprattutto di tantissime sigarette e di sbronze mitiche a base di rum e micidiali liquori, della famiglia, di letteratura e giornalismo, della Colombia e dei sonni visionari dello scrittore, ma c’è un breve tratto che ha colpito il mio gastrodelirio e che si avvicina a quello che tante volte ho già scritto, a costo di diventare noiosa e che ha a che fare con il tempo e con la memoria.

«Sicché spartimmo con loro un pasto alla creola (…) non appena assaggiata la minestra, ebbi la sensazione che tutto un mondo addormentato si risvegliasse nella mia memoria. Sapori che erano stati miei durante l’infanzia e che avevo perso da quando me ne ero andato dal paese, ricomparivano intatti a ogni cucchiaiata e mi rinserravano il cuore.»

Niente di nuovo in effetti rispetto a quanto abbiamo più volte scritto sul potere evocativo per la memoria del cibo e che esprime in maniera così efficace il pasto dell’arcicritico Ego nell’indovinato film d’animazione Ratatouilleper non parlare sempre di Marcel Proust. Ma Garcia Márquez mi ha fatto fare un piccolo passo avanti, mi ha suggerito una sorta di “invidia della memoria”. Insomma, anche io avrei voluto poter tornare ad un’infanzia che parlasse creolo, francese, russo e molte altre lingue, infiniti sapori. E allora continuo a leggere, cercando un po’ di impossessarmi della memoria e del palato altrui e magari anche ad assaggiare nuovi gusti, cibi di storie e di luoghi diversi, possibilmente in viaggio, anche solo immaginato. Potere della letteratura (e dell’immaginazione), faccio mie le memorie di altri, le moltiplico a dismisura e chissà, un giorno, mangiando un pasto alla creola… se non l’infanzia… mi tornerà alla mente Garcia Márquez e di quando con lui, tra mille sigarette, camminavo per le strade piovigginose di Bogotà.

Piccola biblioteca gastrodelirante di Serena Manzoni

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