Di Fabio Riccio,
Per l’ennesima volta mi dichiaro fervente seguace di Tafazzi.
Per chi non lo ricordasse, Taffazzi era quel personaggio televisivo ideato da Carlo Turati e interpretato da Giacomo Poretti, del famoso trio Aldo, Giovanni e Giacomo che nella trasmissione Mai dire gol, esprimeva tutto il suo congenito masochismo autoflagellandosi con una bottiglia di plastica nelle parti intime.
Così, proprio in questa ottica masochistica, da un po’ di tempo ho iniziato un mio personalissimo tour (dell’orrore?) andando a mangiare (finalmente) in alcuni locali “normali”, vale a dire quelli che compongono quel 97% della ristorazione italiana, dove felicemente e senza farsi troppi problemi si ciba il 95% degli Italiani.
I risultati di questo “horror restaurant tour”? Miserrimi.
Ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare… (frase troppo citata, ma ci sta bene)
Dopo questo “tour”, sono ancora più persuaso che la maggioranza degli italiani mangia male, se non malissimo, e questo non dal punto di vista del salutista, ma in generale.
Alla faccia dei tanti show di cuochi televisivi…
Spocchioso e con la puzza al naso?
Me la tiro?
Elitario e lontano dalle cose dell’Italia reale?
No, semplicemente dati di fatto.
Prendendo in prestito la frase ad un bravo collega (Luciano Pignataro), mi sento anche io di affermare: fuori dalle guide e dai blog specializzati c’è l’inferno, quasi.
L’ultimo e luminoso esempio di questo “horror restaurant tour” è stato qualche sera fa.
Affamati ma impigriti, come al solito decidiamo di mangiare qualcosa fuori casa.
I locali preferiti, compresi quelli “meno peggio” sono chiusi, di pizza abbiamo fatto overdose nei giorni precedenti, e così decidiamo per la tafazzata…
Localino in centro.
Mai entrato prima.
In bella vista in vetrina – menù speciale tutto compreso a 10 euro.
Ma… con 10 euro, cosa mai potrà dare un ristorante?
Già questo, dovrebbe scoraggiare qualsivoglia essere umano equipaggiato di raziocinio dal varcare quella porta.
Invece la varchiamo.
Per fortuna il locale almeno si presenta pulito, l’oste (?) affabile e accogliente, mentre il colore delle pareti è ansiogeno.
Qualche minuto e l’oste, che è anche cuoco e chissà cos’altro, arriva.
Decidiamo per un menù alla carta…
Nell’ordine: due antipasti della casa, niente primo e due arrosti di carne misti con patate fritte come contorno.
Il vino.
Rosso sfuso rosso di ignota stirpe, rosso di una cantina sociale del nord, rosso di una cantina sociale del sud.
Opto per il nord.
Se la ristorazione fosse un film, siamo all’inizio di uno psicodramma.
Antipasto nel complesso abbondante, pane mediocre.
Prosciutto e salumi senza grandi sapori, ma quasi edibili, il formaggio impanato e fritto pure, quello in fette forse, mentre i fritti sono da tirarglieli dietro, e l’inquietante trancio di mortadella arrosto, è pura citazione da banchetto matrimoniale balcanico.
Le uniche cose più o meno corredate di qualche tangibile sapore sono melanzane e zucchine, grigliate…
Il vino (in bottiglia eh…) della cantina sociale del nord è anonimo, a stento potabile.
I due arrosti misti sono sì abbondanti, non si può negarlo, ma c’è un problema: agnello, pollo, vitello & salsiccia hanno tutti il medesimo sapore e odore, cioè nullo, al massimo di cartone da imballaggio, forse.
Oltretutto, sono poco cotti.
Si risparmia sulla brace.
Chissà da quale super-ultra-maxi-iper-hard discount arrivano.
I vicini di tavolo invece sono molto contenti, mangiano tutto, escluso i fritti che fanno riscaldare (sic!), per loro tutto è alta cucina, e disquisiscono perfino anche sulla bontà del loro vino, quello del sud, che a ben pensarci almeno mi avrebbe dato l’impressione di essere in un ristorante, vero.
Arrivato a questo punto, il Tafazzi che è in me prende in mano la bottiglia ed entra in azione…
Oh-oh-oh, oh-oh-oooh (verso di Tafazzi che si martella le palle con la bottiglia di plastica)
Siamo in trappola.
Ma il gastromasochismo non ha limiti.
Chiediamo anche dolce e amaro…
Su questi stendo un velo pietoso, anzi no: l’amaro quello della “Milano da bere” alla fine è anche buono…
Ma… il meglio è il conto: ben 60 euro (vino compreso) in due, però con regolare ricevuta fiscale – agghiacciante!
Un vero e proprio furto.
Il giorno dopo appena sveglio ho pensato a come siano stati inutili quei 30 euro a cranio, che avrei fatto meglio a dare in beneficenza a qualcuno bisognoso.
Soldi letteralmente buttati.
Prima di tutto conosco molti ristoranti che per 30 euro mi propongono onestissimi menù che valgono il prezzo, poi se vado in buon ristorante, e in Italia ce ne sono tantissimi, sono ben lieto anche di spendere cifre importanti, ma almeno esco fuori contento, e vi assicuro che non sono così miliardario da potermi permettere questo tutti i giorni, anzi.
In cambio però, chiedo e pretendo sempre & comunque qualità, e non la squallida pantomima di una cena, fatta di sbiadite scimmiottature di cibi insapori al limite della commestibilità.
Il rapporto prezzo/qualità di questo ristorante, identico a quello dei tanti simili “mangifici” sparsi sul territorio nazionale è davvero misero.
Una buona mensa aziendale avrebbe fatto certamente di meglio.
Sempre per non fare lo snob o quello che se “la tira”, posso assicurare che in proporzione, e vista la qualità del tutto, in un buon ristorante stellato, mettendo il tutto sulla bilancia del rapporto prezzo/qualità, avrei speso (in proporzione) di meno.
Rimane il mistero di perché luoghi così modesti, per non dire dozzinali, abbondino e siano frequentati, spesso molto, e prosperino.
Forse… la faccenda si spiega solo con l’innato tafazzismo degli Italiani, al contrario del mio, non dichiarato e inconsapevole.
Un ristorante così, che esemplifica (purtroppo) una bella fetta della ristorazione nazionale, in una nazione che si vanta di avere 59 milioni di buongustai su 59 milioni di abitanti, e dove ogni canale e programma televisivo ha più di un cuoco nel proprio libro paga, dovrebbe essere completamente deserto, invece, come quasi tutti i posti dove felicemente si cibano il 95% degli Italiani, era anche mediamente gremito.
La maggioranza degli italiani mangia male, davvero male, purtroppo.
P.S. Giusto per onestà intellettuale, c’è da dire che le patate fritte di contorno erano buone, ben fritte e vere (cosa rara).
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
i 10 euro di tanti menù vari sono solo specchietti per le allodole.
In realtà in tanto localacci come questo descritto, a parte questi menù risicati, fatte le proporzioni si finisce per spendere di più di tanti posti più famosi e solo apparentemente più cari.
Gilberto Farinacci,
Purtroppo è vero…
Più si parla di cuochi e cucina, peggio si mangia in tantissimi ristoranti.