Filari Margherita 2024 – Il Bronner Piwi secondo Lot

Vino naturale da uve Bronner, vitigno piwi: freschezza, pulizia e carattere da vendere.

Logo Alberto Lot – Viticoltura in Alto Livenza

Nel panorama dei vini naturali che non si prendono troppo sul serio ma che riescono con buona classe a far parlare di sé, il Filari Margherita 2024 di Alberto Lot si presenta con una bottiglia apparentemente tranquilla… ma sotto il tappo si cela un concentrato di energia rurale, visione agronomica con in più il bonus di piccoli colpi di teatro aromatico.

Altro che biodinamiche alla moda o etichette color pastello fatte per Instagram. Qui si fa sul serio. O meglio: si fa sul piwi.

Non solo naturale: è Bronner

Per i profani, la parola “Piwi” suona come il nome di un cartone animato giapponese anni ’80. In realtà, è l’abbreviazione (impronunciabile ai più) di Pilzwiderstandsfähig, ovvero vitigni resistenti alle malattie fungine. Niente chimica, zero trattamenti fitosanitari, viti gagliarde & toste che crescono con le proprie gambe praticamente senza stampelle chimiche.

Filari Margherita 2024 – vino bianco Bronner piwi nel calice

Tra questi spicca il Bronner, vitigno resistente ma di classe, che nel Filari Margherita trova piena espressione. E mentre qualcuno ancora storce il naso al solo sentir parlare di vini da piwi, qui ho stappato una bottiglia che smentisce ogni pregiudizio con grazia, vigore… e una banana in faccia.

L’arcano caso della banana sbucciata

Appena aperta la bottiglia, si è verificato un fenomeno aromatico curioso ma innegabile: un netto, e inconfondibile sentore di banana sbucciata. No, non è uno scherzo. Il merito va tutto (o la colpa, per i più pavidi) a una molecola nota come acetato di isoamile, compagno di merende di tanti vini giovani e naturali, responsabile di quell’effluvio tropicaleggiante che a qualcuno fa esclamare “che frutta!” e ad altri “ma che diavolo è ‘sta roba?”.

Ma… dopo una ventina di secondi l’effetto svanisce, lasciando spazio a qualcosa di ben più interessante. Insomma: la banana saluta e se ne va. Così, questo tocco iniziale, quasi un filtro da Snapchat olfattivo, è solo il breve e stuzzicante preambolo per un sorso che sorprende, molto.

Al naso: si cambia registro

Così, messi in archivio quei primi istanti in stile frullato americano anni ‘50, ecco che il Filari Margherita 2024, in calice di un bel giallo paglierino appena turbido, si rivela per ciò che è: un bianco parecchio complesso e freschissimo, dove l’agrumato (cedro, limone, scorza d’arancia) si attorciglia a delle note erbacee leggere, a punte di mela verde, e infine a un sottofondo floreale di fieno e camomilla.

Nessuna sbavatura, nessuna di quelle “puzzette” che i detrattori dei piwi e dei vini naturali anelano con godimento quasi fisico sbandierare come spauracchio a ogni occasione.

Anche quelli che si aspettavano la solita zaffata di cantina umida e di fermentazioni alla ”evviva il parroco!” resteranno deluso. Qui si gioca su equilibri delicati ed elegantemente contenuti. Niente esagerazioni, nessun bisogno di urlare per farsi notare.

La bocca? Uno slalom tra freschezza e carattere

Degustandolo con la dovuta calma, questo bianco colpisce per la beva scattante, precisa, energica. L’acidità è viva, ben presente, ma mai aggressiva. Il sorso è teso, minerale, con un finale asciutto e salino che invoglia immediatamente alla seconda (e terza) sorsata, e poi a un’altra bottiglia. Una struttura che, pur rimanendo agile, non rinuncia a una certa profondità gustativa.

Quella diffidenza (ingiustificata) sui piwi

Vale la pena soffermarsi su un punto: ancora oggi, molti guardano con sospetto i vini ottenuti da vitigni piwi. C’è chi li considera dei “figli di un dio minore”, c’è chi li accusa di scarsa personalità, qualcuno arriva addirittura a definirli “artificiali”. Ma di artificiale, nel Filari Margherita, non c’è proprio nulla.

Etichetta retro Filari Margherita 2024 – vino bianco biologico

Lo avevamo già scritto in un articolo su Gastrodelirio, tutto dedicato ai vitigni piwi: la diffidenza nasce spesso dall’ignoranza, o dall’esperienza con bottiglie poco riuscite. La realtà è che se in buone mani i piwi possono regalare vini sorprendenti, puliti, espressivi e profondamente territoriali.

Ecco: questo Filari Margherita 2024 firmato Alberto Lot ne è l’esempio perfetto.

Alberto Lot: l’artigiano del Bronner

Chi conosce il lavoro di Alberto Lot sa che non c’è nulla di improvvisato nei suoi vini. L’approccio è artigianale, ma meticoloso. La scelta di puntare sul Bronner non è moda, ma convinzione profonda: valorizzare un vitigno che permette davvero di coltivare senza trattamenti, in modo coerente con l’ambiente e il buon senso agricolo. E non per vendere “bio” all’ennesima fiera, ma per coerenza etica e gusto per il dettaglio.

Il Margherita 2024 non è quindi solo un bel vino: è un progetto agricolo, un pensiero liquido che nasce nei filari e si trasforma in bottiglia senza maquillage.

Da abbinare con… rispetto

Il Filari Margherita 2024 esige rispetto anche a tavola. Niente salse pesanti, zero sovrastrutture. Lo immagino con:

  • pesce alla griglia,
  • formaggi freschi e caprini,
  • insalate estive,
  • torte salate con verdure di stagione.

Oppure, semplicemente, da bere in piacevole compagnia, magari di fronte a un bel tramonto sul mare con il naso curioso e il palato in allerta.

Conclusione: la banana che vale l’applauso

Il Filari Margherita 2024 di Alberto Lot è un piccolo miracolo enologico. Parte con una banana improvvisa e destabilizzante, poi si snoda in un bianco fresco, naturale, espressivo, figlio di un Bronner gestito con intelligenza. È la dimostrazione pratica che i vitigni piwi non solo “ce la possono fare”, ma possono anche alzare l’asticella della sensorialità complessiva.

Un vino che dice “più naturale di così non si può”, e lo fa senza slogan, senza retorica, ma col calice. E se qualcuno ancora pensa che i piwi olezzano come laboratorio del conte Cagliostro, beh… che si beva una di queste bottiglia. E si ricreda. 

I PIWI, ovvero il mostro cattivissimo sotto il letto del vignaiolo…

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