Dalla sagra del tartufo estivo (senza tartufo) alla festa della birra belga in Molise e in Basilicata: dove stiamo andando?
di Fabio Riccio
C’erano una volta le sagre. Quelle vere. Quelle dove il maiale era stato allevato dal vicino che conoscevi per nome, e non macellato in qualche stabilimento a mille chilometri da lì. Quelle dove se ordinavi una porchetta, ti arrivava un panino un po’ troppo unto, caldo, ruvido, magari “zozzoso” ma autentico. sagre italiane 2025
Non quella porzione da supermercato sottovuoto che oggi ti rifilano, tagliata da un volontario con i guanti di plastica blu e l’espressione di chi preferirebbe essere su Instagram a condividere il panino, piuttosto che tagliarlo.
Oggi le sagre sono un format. Un algoritmo. Un pretesto per vendere birra media a cinque euro e dare l’impressione di vivere un “folklore” che, nella realtà, è stato messo sotto formalina, se mai c’è stato.

Il grande bluff della “tradizione”
Fate una prova: prendete un calendario qualsiasi delle sagre italiane estive: Abruzzo, Sicilia, Toscana, ma anche Lombardia e Friuli. Guardate i nomi. “Sagra del Tartufo Estivo” (con tartufo nero “vero” in dosi omeopatiche), “Festa della Polenta” (ad agosto, con 35 gradi all’ombra), “Sagra del Maiale” dove il maiale si riduce solo a wurstel, salsiccia e ketchup. Tutto è sagra, tutto è “tipico”. Peccato che non lo sia più.
E la colpa — spiace dirlo — non è solo delle amministrazioni o delle proloco. È anche nostra. Noi che ci andiamo, noi che ci stiamo, noi che accettiamo senza dire niente. Perché tanto “fa colore”, perché “tanto si mangia lo stesso”, perché l’importante è passare la serata. sagre italiane 2025
Il folklore da discount
Quando il concetto di tradizione è venduto in saldo, ecco che ti arriva il folklore da (hard…) discount. Non ci interessa più cosa si celebra, ma come venderlo. Serve solo una parola chiave forte (cinghiale, tartufo, porchetta, birra artigianale), una grafica pacchiana con un maialino felice o una damigiana che fa l’occhiolino, e via con l’evento su Facebook & Compagnia!
Arriva gente, si incassa, si va avanti. E se poi nel panino ci mettono quasi sempre un affettato industriale, pazienza. “Tanto non se ne accorge nessuno”.
Ma qualcuno se ne accorge. E dovrebbe dirlo.
Il menù è morto. Viva il menù (standardizzato)
Fateci caso: è quasi sempre tutto uguale. Che tu sia in Calabria o in Emilia, il menù della sagra media comprende:
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Arrosticini (pure in Bressanone e a Canicattì, ormai)
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Crepes con la Nutella (magari fosse sempre quella vera…)
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Pasta con sugo vagamente “segreto”
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Panino con porchetta e/o salsiccia
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Patatine fritte
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Dolci da discount con il nome della nonna
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Birra — mai locale, spesso industriale — obbligatoriamente con nome vagamente germanico
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E magari, ciliegina sul menù, un food truck con tacos maltrattati: così facciamo anche gli “internazionali”. sagre italiane 2025
Il risultato? Senza mezzi termini una catastrofe. Non culinaria, quella magari è soggettiva. Ma culturale, identitaria. Una volta le sagre erano un modo per riconoscersi, per raccontare il proprio luogo, per tramandare una cucina che non arrivava da MasterChef.
Oggi, salvo qualche “resistente”, sono solo dei luna park del gusto senz’anima.
Il volontariato che stanca, il business che ingrassa
E no, non è mica colpa dei volontari! Anzi: chi sta dietro le quinte, spesso, ci mette davvero cuore e fatica, si fa davvero un “mazzo tanto”. Il problema è chi comanda. Chi organizza. Chi vede la sagra solo come occasione di cassa, come trampolino per qualche politicante locale, o come modo per spingere i prodotti di un amico, un cugino, o di un fornitore con troppa carne in magazzino.
Si usa il “locale” come una foglia di fico. Ma il fico è turco, la carne spagnola e le birre sono tutte (presunte…) IPA con l’etichetta finto-rurale e il prezzo da enoteca radical chic.
“Eh ma è per far vivere il paese…”
La frase che si sente sempre. Quella che chiude ogni discussione. Ed è vera, in parte. Le sagre sono spesso l’unico momento in cui un borgo respira. Dove si riempie la piazza, si rivede la gente, si crea un po’ di economia.
Ma se il prezzo di tutto questo è svendere l’identità culturale per due chili di salsicce e dieci litri di bionda calda… beh, allora siamo messi proprio male.
Non è nostalgia. È onestà. Se proprio vogliamo parlare di territorio, facciamolo sul serio. Se vogliamo fare la sagra della trippa, cuciniamola come si deve, e non vergogniamoci del suo odore… di trippa. sagre italiane 2025
Se vogliamo celebrare il tartufo, usiamolo davvero, non accontentiamoci di sniffarlo di bismetiltiometano. Se non possiamo permettercelo, cambiamo tema. Non muore nessuno.
L’industria delle sagre finto-contadine
E poi c’è lei: l’industria. Sì, perché ormai le sagre sono diventate una filiera. Ci sono agenzie che organizzano pacchetti chiavi in mano: palco, service audio, menù prefabbricati, volantini, persino i cuochi e i figuranti in presunto “costume tipico”.
Ti vendono una “festa della birra artigianale” come potresti vendere un McMenu. Cambia solo il vestito. Il contenuto è lo stesso: plastica, nostalgia a pagamento e zero radici.
C’è chi fa la sagra della castagna… a luglio. Chi propone il “Festival della cucina medievale” con hot dog e piadine. Chi chiama un influencer food per farsi bello su Instagram e si scorda che nessuno ha mai chiesto a una nonna come far lievitare un reel.
Una domanda (amara) finale
Ma a noi, davvero, sta bene così? Davvero ci basta un po’ di musica live, due bomboloni e una foto col panino per sentirci parte di qualcosa? sagre italiane 2025
La verità è che ci stiamo raccontando una favola. Un folklore di cartapesta. Un’identità che si dissolve a ogni sagra copia-incolla. E quando anche l’ultima finta trippa sarà andata a male, ci resteranno solo le tovaglie a quadri e le birre tiepide. Come souvenir di una cultura che non abbiamo saputo difendere.
Non è più tempo di accontentarsi. È tempo di pretendere. Di dire: questa non è una sagra. Questo non è territorio. Questo non è più cibo, è solo un trucco.
E a furia di trucchi, finisce che nessuno ci crede più. Nemmeno noi.
Per diritti di autore etc etc, alcune (non tutte eh…) delle immagini sono state create con intelligenza artificiale. Il testo e il “pensiero” assolutamente no. sagre italiane 2025

Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Food, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?