(Se vogliamo salvare il comparto dobbiamo tornare a bere)
di Paolo Francesco Mandelli
Negli ultimi decenni, il consumo di vino ha subito un drastico calo. Se dagli anni Sessanta a oggi il declino è stato costante, dal 1985 in poi la diminuzione tra gli italiani è diventata ancora più evidente. (Fonte – 8wines.it)
Un dato particolarmente significativo è che oggi otto persone su dieci bevono vino esclusivamente al ristorante. Solo il 14% degli italiani consuma abitualmente un bicchiere di vino a pasto, un’abitudine che un tempo rappresentava un vero e proprio rito quotidiano. Sul vino solo ipocrisie
Non è un fenomeno isolato: in Francia, per esempio, il 55% dei trentenni non ha ancora mai assaggiato il vino. Una statistica che appare sorprendente se pensiamo alla cultura enologica francese, da sempre considerata uno dei pilastri dell’identità nazionale.
A questo quadro si aggiunge un altro elemento: la produzione di vino è in calo, com’è naturale che sia dato il crollo dei consumi. Eppure, nel 2023, si è registrato il record assoluto di fatturato nel settore vinicolo, nonostante una diminuzione della produzione del 23%.
Questo paradosso suggerisce un dato importante: il prezzo del vino continua a salire. Il valore economico del vino cresce, anche se la quantità prodotta e consumata si riduce.
Da qui si apre una riflessione fondamentale: se vogliamo che il movimento del vino, anche dal punto di vista economico e culturale, torni a prosperare, dobbiamo consumarne di più e al ristorante deve costare meno. È necessario affermarlo chiaramente, senza timori né ipocrisie: se il vino fa parte della nostra cultura, dobbiamo tornare a berlo.
Negli ultimi anni, tuttavia, il vino è stato spesso messo sotto accusa: si parla dei suoi effetti cancerogeni, dei rischi legati al consumo eccessivo, delle restrizioni alla guida. Tutti temi giusti e necessari, ma il punto è che non possiamo più rimanere in una terra di mezzo: o si accetta che il vino sia parte della nostra cultura e si incentiva un consumo moderato e consapevole, oppure si accetta che il suo ruolo nella società vada progressivamente scomparendo.
Un’osservazione interessante arriva anche guardando agli anni Ottanta. In quel periodo, ad esempio, andava in onda una pubblicità diventata celebre, con protagonista Renzo Arbore, che recitava: “Chi beve birra campa cent’anni”. Era un invito a consumare birra, un messaggio che vedeva il consumo di alcol, in particolare della birra, come un gesto positivo, salutare, allegro.
Non c’erano allarmismi, né si parlava dei danni dell’alcol come si fa oggi: si proponeva semplicemente di bere con piacere. Forse anche oggi potremmo tornare a pensare a una comunicazione più serena, capace di trasmettere il valore conviviale del vino, senza preoccuparsi di criminalizzare ogni bicchiere bevuto con moderazione.
Perché il vino è sotto accusa mentre i superalcolici sembrano rimanere nell’ombra? Non leggiamo titoli preoccupati sui consumi di vodka o tequila tra i giovani. Non vediamo campagne aggressive contro i superalcolici, nonostante abbiano un impatto molto più immediato e dannoso: bastano poche quantità per raggiungere uno stato di alterazione grave, spesso a costi irrisori.
Il vino, invece, vive una crisi diversa, una crisi culturale. Non rappresenta più ciò che ha sempre rappresentato: la convivialità familiare. Sul vino solo ipocrisie
E di fatto oggi il vino è associato a momenti di felicità e convivialità, vissuti soprattutto fuori casa, al ristorante. Questo suggerisce una perdita di valore del momento del pasto in famiglia.
Una volta, il pranzo o la cena domestica erano momenti sacri, occasioni di incontro e condivisione. Oggi, invece, spesso mangiamo separati, di corsa, senza ritualità. La preparazione del cibo viene vissuta come un obbligo, la spesa come un fastidio, il pranzo come una formalità da sbrigare velocemente.
In questo contesto, anche il vino perde il suo significato: non è più una parte integrante del vivere quotidiano, ma diventa un lusso occasionale, riservato a eventi speciali.
Eppure, il ritorno a un’idea di famiglia come luogo di felicità quotidiana potrebbe riportare anche il vino nelle nostre case, senza cadere negli eccessi. Non si tratta di incentivare l’abuso, ma di riscoprire il valore di un bicchiere di vino a pasto, bevuto con piacere e consapevolezza, come parte di un rituale di benessere e armonia domestica.
Un tempo il vino era onnipresente sulle tavole italiane: lo si autoproduceva, si compravano damigiane e si imbottigliava in casa, e la bevanda era consumata da tutte le classi sociali, dai contadini ai grandi signori.
Oggi non è più così: il vino è passato dall’essere cultura a diventare costume. Non è più vissuto come un alimento quotidiano, ma come un accessorio festivo. Basta osservare come a Natale o durante le ricorrenze speciali la bottiglia di vino torni ad apparire sulle tavole casalinghe: segno che il vino è ormai percepito più come simbolo di celebrazione che come compagno quotidiano del pasto.
Va detto che non si tratta principalmente solo di una questione economica. Ancora oggi è possibile trovare ottimi vini a prezzi accessibili, magari recandosi direttamente in cantina o scegliendo il vino di piccoli produttori, spesso venduto a costi molto contenuti. Sul vino solo ipocrisie
La verità è che siamo noi ad aver cambiato il nostro modo di vivere il pasto, la convivialità e la felicità domestica. Non sono più valori centrali nella nostra vita quotidiana.
Per questo, se vogliamo davvero riportare il vino nelle nostre vite — non come vezzo occasionale, ma come parte integrante della nostra cultura — dobbiamo ripensare al nostro modo di vivere il tempo in famiglia: prenderci cura della spesa, cucinare insieme, sedersi a tavola senza fretta, gustare un pasto con i propri cari.
In quest’ottica, un bicchiere di vino non rappresenta solo una bevanda, ma un simbolo di una qualità della vita che rischiamo di perdere. Riscoprire il vino nella quotidianità significa anche recuperare il piacere della lentezza, dell’attenzione, della cura, del dialogo.
Naturalmente, tutto questo deve avvenire nel rispetto dei limiti e della salute. Non si propone di tornare ai tempi in cui il vino scorreva a fiumi senza alcun controllo, ma di riscoprire il valore di un consumo moderato, intelligente e felice. Sul vino solo ipocrisie
Un consumo che riconosce nel vino non solo un piacere, ma anche una storia, una cultura e un legame profondo con la nostra identità.
Se vogliamo salvare il vino — e tutto il mondo che vi ruota attorno, dai produttori alle tradizioni familiari — non dobbiamo limitarci a comunicare meglio, a inventare campagne marketing più efficaci o a puntare solo sui giovani. Dobbiamo ricostruire un contesto culturale e sociale in cui il vino possa tornare a vivere, non come un lusso, ma come una parte semplice e naturale della nostra vita quotidiana.
Solo così il vino potrà ritrovare il suo posto, non solo sulle nostre tavole, ma anche nei nostri cuori.
Sul vino solo ipocrisie

Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.