Pesce surgelato nei ristoranti: parla un calamaro

Intervista impossibile: parla un calamaro surgelato

di Fabio Riccio

Non sono fresco, ma nemmeno colpevole.”

In Italia si parla tanto di pesce, ma molto poco di quello vero. Quello che arriva dal mare.
Ma c’è un altro tipo di pesce che purtroppo non parla mai, anche se è onnipresente nei piatti estivi di mezza penisola: il calamaro surgelato. pesce surgelato nei ristoranti

In esclusiva per www.gastrodelirio.it abbiamo deciso di dargli voce.
Un’intervista surreale — ma neanche troppo — direttamente dalla cella frigorifera di un ristorante sul mare, dove tutto è a “chilometro zero” tranne… il contenuto del piatto.

Buongiorno, calamaro. Come si sente?

Sottozero, grazie. Congelato dal 17 gennaio, scongelato ieri sera, fritto oggi a pranzo.
Ma sono abituato, non ci faccio più caso. Non ho mai visto il mare italiano, eppure mi trattano come fossi appena uscito da un peschereccio di un qualche porto della penisola.

Si definisce un calamaro vero?

Mi definiscono in tanti modi. A volte “calamaro”, altre “totano”, e se proprio serve fare scena, diventiamo “anelli di mare”.
A dire il vero nemmeno io, a volte, so bene chi sono nel menù del giorno.
Sono stato pescato con altri milioni di miei simili al largo delle coste dell’India. Già pulito, già tagliato, imbustato e spedito.
L’unica cosa fresca, da queste parti, è il prezzemolo tritato che mi hanno messo sopra per abbellirmi.

Cosa pensa del mondo della ristorazione italiana?

Sorrido beffardo quando sento frasi tipo: “Qui serviamo solo pesce fresco.”
Se chiedi da dove arriva, cambiano discorso, oppure la buttano “sul vago”.
Se chiedi se è stato abbattuto o congelato, ti dicono: “Ma che è, un interrogatorio?”
Il mio sogno? Finire in un posto dove sanno almeno come si cuoce a dovere un mollusco cefalopode.
Qui mi friggono in olio vecchio, mi servono con due foglie di rucola stanche, e pretendono pure l’applauso.

Qual è la bugia più grande che le hanno fatto raccontare?

“Pesce del giorno.”
Che giorno, scusa? Il 3 febbraio scorso, quando ero ancora nella stiva?
Oppure “pesce del Tirreno”… che è un modo elegante per dire “il fornitore ha detto così”.

Si dice che lei non sia solo in questa avventura. Vuole presentarci qualcuno?

Con piacere. Qui accanto a me c’è Bruno, il gambero tropicale.
Bruno, amico mio… dì qualcosa. pesce surgelato nei ristoranti

Bruno il gambero (sospira):

Sono nato in una vasca in Ecuador. Nutrito con mangimi, raccolto in fretta, congelato ancora peggio.
Ora sono in un ristorante di lusso in Puglia, spacciato per “rosso di Mazara”.
Mi servono crudo, con un filo d’olio di dubbia provenienza, e c’è pure chi posta la foto con hashtag tipo #mareNelPiatto.
Io, il mare, non l’ho mai visto. Al massimo la pompa di ricircolo della vasca.

E tu, chi sei?

Io sono Tonino, filetto d’orata d’allevamento.
Mi vendono come “secondo piatto leggero e sano”.
Sono cresciuto in acque controllate, troppo controllate.
Non ho mai dovuto fuggire da un predatore: solo da chi controllava la salinità.
Mi servono con la scritta “dal nostro mare”, anche se arrivo dalla Grecia via camion refrigerato.

Torniamo a lei, calamaro. C’è qualche speranza per il futuro?

Che la gente ricominci a chiedere.
A esigere di sapere cosa diavolo c’è nel piatto.
Che torni la voglia di pesci poveri, di pescatori veri, di ristoratori che abbiano il coraggio di dire:
“Oggi niente calamari. Ma ho delle triglie bellissime.”
Oppure anche solo un’onesta frittata.


darsi all'ittica

Postilla dell’autore

La colpa non è solo del calamaro. Né del ristoratore, né del turista.
È di tutto un intero sistema che confonde “semplice” con “sciatto” e “economico” con “scadente”.

Il pesce, quello vero, va rispettato.
Anche quando è piccolo, brutto o ha troppe spine.
Perché il mare, se lo ascolti bene, non grida “Instagram!”, ma “responsabilità”.

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