La cucina italiana avrà il futuro che saremo in grado di darle
di Paolo Francesco Mandelli
Antonia Klugmann, chef e proprietaria del ristorante L’Argine a Vencò a Dolegna del Collio (GO), una stella Michelin, ha saputo creare una cucina che unisce tradizione e ricerca.
Ha anche partecipato come giudice a MasterChef Italia e porta avanti una visione della gastronomia influenzata da riferimenti insoliti per uno chef, come Bruno Munari e Luigi Ghirri. Antonia Klugmann
Come Ghirri trovava la poesia nei semplici tramonti sulla spiaggia, Antonia trova significato nelle cose più semplici. Il suo piatto “ “Pane ammollato e arrostito estratto di semi di finocchio”, fatto con un solo ingrediente – il pane – è un esempio perfetto di questa filosofia: un condensato di tradizione, è ispirato da La Panada friulana, artigianato e minimalismo, in linea con l’essenzialità auspicata da Ferran Adrià.
PFM (Paolo Francesco Mandelli): Antonia, vado subito al punto: qual è il futuro della cucina italiana in un paese dove si cucina sempre meno?
AK (Antonia Klugman): È una domanda interessante, ma prima voglio fare una riflessione. Mi sono sempre chiesta quanto il mio essere chef derivi dalla mia passione e quanto, invece, sia legato a una componente culturale, storica e a una scelta consapevole da adulta.
Vengo da una famiglia molto moderna, dove le donne lavoravano fuori casa. Sono stata fortunata perché mia madre non ha mai vissuto la cucina come una compensazione della sua assenza. Quando cucinava per noi, lo faceva con totale presenza, senza sensi di colpa. Anche ora che vive da sola, continua a cucinare con lo stesso rispetto per sé stessa e per la materia prima, anche la più semplice.
Questo è ciò che porto nel mio DNA culturale. Eppure, mia sorella ha vissuto la stessa esperienza e non ha scelto di fare la cuoca. Ci sono anche inclinazioni personali che ci guidano nelle nostre scelte.
Vorrei che cucinare in casa smettesse di essere considerato un “lavoro da donna”. Non si può cucinare bene se lo si fa con il senso di colpa o come un obbligo. Quando mi dicono che il problema è che le donne lavorano e non hanno più tempo per la cucina, rispondo: “Per fortuna!”.
Finalmente ci siamo liberate di questo stereotipo. Per tornare alla tua domanda: il futuro della cucina italiana dipenderà dalla nostra capacità di apprezzare le cose buone e dal tempo che saremo disposti a dedicare a questo. Antonia Klugmann
Qualcuno, però, deve cucinare. Altrimenti perdiamo anche il valore del convivio familiare…
Certo, ma serve una nuova organizzazione della famiglia, con una diversa suddivisione dei compiti. Questo cambiamento è legato all’industrializzazione, alla gestione del tempo e delle risorse. Ci vorrà del tempo per trovare un nuovo equilibrio, ma è un processo necessario, che richiede un investimento di energie per ristabilire alcune priorità. Una di queste è mangiare bene, che è la prima forma di cura per noi stessi.
Brillat-Savarin diceva che “il futuro delle nazioni dipenderà dal loro modo di nutrirsi”. Sono passati 200 anni e forse solo ora iniziamo a comprenderlo davvero.
Io mi rifiuto di pensare al cibo senza considerare le conseguenze che ha sulle persone e sulla società. Credo che non sia più possibile ignorare questo aspetto.
Se in Italia venisse a mancare la figura di riferimento nella cucina casalinga, chi sarà il custode di questo sapere? Sarete voi cuochi i nuovi archetipi della conoscenza?
I cuochi hanno una responsabilità enorme, soprattutto quelli con una maggiore visibilità. Non possiamo limitarci a promuovere solo noi stessi quando parliamo della nostra cucina. Quando mi trovo a raccontare il mio lavoro, sento sempre il rischio di trasformarlo in un discorso di puro marketing personale. Antonia Klugmann
Ma se lo riduco a questo, non posso avere un impatto reale su una questione più ampia. Per questo credo che sia più interessante utilizzare il tempo e le risorse a disposizione per trasmettere messaggi etici e culturali che abbiano un valore per la società.
Non pensi che l’alta cucina si stia progressivamente allontanando dal cibo stesso, concentrandosi sempre di più sullo show e sullo storytelling?
Oggi, alla mia lezione a Identità Golose 2025, ho parlato proprio di questo. Credo che dobbiamo recuperare una concretezza reale, un’onestà e un’umiltà davanti al gusto.
Ogni giorno, nel mio lavoro, faccio educazione al gusto, approfondisco, analizzo. È un impegno bellissimo, che riguarda non solo il piacere, ma anche l’estetica, la conoscenza di sé, la volontà di creare qualcosa di bello per chi viene a cenare nel mio ristorante. Dobbiamo imparare ad approcciare il cibo con una consapevolezza maggiore. Non si tratta solo di mangiare, fotografare, pagare ed uscire. Il cliente può godere molto di più se sviluppa una sensibilità verso ciò che sta assaporando.
Amo il film Il gusto delle cose, con Juliette Binoche, dove un gruppo di gourmand comprende la cucina nei suoi passaggi e nelle sue tecniche, godendo di tutto il processo oltre che del piatto finale.
Anche ne Il pranzo di Babette c’è la gioia del cucinare, ma mentre la cuoca vive la gioia del dono, i commensali faticano a comprenderla perché il loro cibo abituale è vissuto religiosamente come mortificazione del corpo. Questo dimostra quanto il nostro rapporto con il cibo sia una costruzione culturale.
Pensi che il classico schema italiano di antipasto, primo e secondo sia ormai superato?
No, anche se con il tempo ho imparato ad apprezzare la semplicità. L’eccesso mi disturba, preferisco il giusto equilibrio. Pur lavorando nel mondo della cucina, mi sento una persona moderata. In casa, un piatto principale e una verdura sono più che sufficienti.
Prima hai parlato di gusto e conoscenza. Non dovremmo partire dalle basi e introdurre la cultura del buon cibo già nelle mense scolastiche, per educare i giovani?
Penso subito a Niko Romito e al suo lavoro sulle mense ospedaliere in Abruzzo. È uno degli chef che sta lavorando con maggiore serietà su questo tema nel nostro paese. Credo che sia un modello da seguire.
Hai paura che l’industria alimentare si appropri anche della cucina da ristorante?
In parte, l’industria ha già intercettato il desiderio di un pubblico più consapevole e sta cercando di adeguarsi. Penso a grandi aziende che hanno introdotto prodotti biologici e stanno prestando maggiore attenzione alla sostenibilità.
Il pubblico ha un potere enorme in questo senso: può spingere l’industria a cambiare direzione. Se i consumatori continueranno a premiare le scelte etiche, anche il mercato dovrà adeguarsi. Il cambiamento parte sempre da noi. Antonia Klugmann

Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.