Benvenuti al Festival della Puttanata
Edizione Gourmet
Di Paolo Francesco Mandelli
E invece no.
Nel Festival, il fondo non esiste. È un buffet infinito. C’è sempre un cuoco pronto a servire la fesseria successiva.
Ed eccoci quindi a Bosco Jimenez, chef del ristorante Asador Aupa, a Cabrera del Mar nei pressi di Barcellona, (dove la proposta gastronomica è seria veramente), il nuovo pagliaccio del circo.
Prodotto della casa: hamburger da 9.450 euro.
Ripetiamo insieme: nove-mila-quattrocento-cinquanta euro, (chissà poi perché non 9500? ci sarà forse la soglia psicologica di 9500 da non scavallare, come al supermercato i prezzi da 9,90€).
Un panino. Con pane, carne, formaggio e salsa. Ma le informazioni sugli ingredienti non si trovano, ma forse è meglio così. Nulla. Solo il prezzo e l’ego del cuoco.
E qui già senti l’odore inconfondibile.
No, non è tartufo bianco. panino da 9450 euro
È presa per il culo caramellata, servita con riduzione di rispetto per l’intelligenza altrui.
Ma il problema, sia chiaro, non è chi lo fa.
Il genio del marketing gastronomico che si sveglia e dice: “E se oggi la sparassi grossa e vendessi il panino più caro d’Europa?” – ci sarà sempre. È una costante della cucina moderna: uno così in cucina non manca mai.
Il problema siamo noi.
Noi che non abbiamo più anticorpi gastronomici e culturali.
Una volta bastava poco. Bastava uno che, con un filo di senno, dicesse:
“Ragazzi, ma questo è un panino. Non può costare quanto la mia Panda usata.”
Adesso no. Adesso si condivide. Si applaude. Si fa la fila. Si fa la foto con l’hamburger e si posta: “Esperienza unica!” panino da 9450 euro
Esperienza unica sì. Ma nella sezione delirio collettivo.
E qui casca il cacio sui maccheroni.
Perché se perdiamo il senso della misura davanti a una stupidata così plateale, cosa succede quando ci troviamo davanti a qualcosa di veramente grave?
Oggi è un panino da 9.450 euro, domani è una legge assurda, una bugia enorme, una narrazione tossica, e nessuno che la mette in discussione.
Perché?
Perché non abbiamo più anticorpi.
Non solo per riconoscere una truffa gastronomica, ma per distinguere il vero dal falso, il buono dal marcio, il contenuto dal contenitore.
Il pensiero critico è stato grattugiato come il parmigiano: sottile, invisibile, decorativo.
Nel frattempo la gente si fionda su questi “eventi gastronomici” con lo stesso entusiasmo con cui un tempo si andava in pellegrinaggio. Ma al posto dei miracoli, oggi c’è un panino. E al posto della fede, l’hype.
Che poi, diciamolo: il panino da 9.450 euro non è nemmeno una provocazione intelligente. È solo un’idea idiota che ha funzionato. È una trovata pubblicitaria per chi crede che l’alta cucina sia sinonimo di sfarzo, e non di sostanza.
Ma il vero dramma non è gastronomico. È sociale.
Perché quando il pubblico non ride più davanti alla puttanata evidente, ma anzi applaude, qualcosa si è rotto. panino da 9450 euro
È come se servissero un’insalata di aria a 300 euro, e invece di mandarli a quel paese, diciamo: “Che interessante esplorazione del concetto di vuoto!”
C’è un detto: “Siamo quello che mangiamo.”
Ma se è vero, allora siamo diventati consumatori di niente, pagatori seriali di fuffa gourmet, ingoiatori di mode, senza masticare, senza digerire.
E il pensiero critico? Sparito. Come la cipolla nella amatriciana.
Una volta c’era la favola del re nudo.
Bastava un bambino per dire la verità.
Oggi il bambino è su TikTok, e il re nudo è sponsor di un brand di padelle che costano più di un iPhone.
No, signori. Basta. Basta con il Festival della Puttanata.
Serve qualcuno che abbia ancora la decenza di alzare la mano e dire:
“Questa è una stronzata. E non va bene.”
Non perché ci indigniamo per un panino, ma perché il giorno in cui smettiamo di indignarci per queste cose, siamo pronti ad accettarne di ben peggiori.
E quando arriveranno, perché stanno già arrivando, non avremo più gli strumenti per capirlo.
Ci sembreranno solo un’altra trovata brillante da condividere.
E finiremo per pagare, ridendo, anche il conto.
Magari da 9.450 euro. panino da 9450 euro
Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.



Paolo è un cultore di arte culinaria e non può accettare lo spazialismo dell’arte contemporanea applicato ad un concetto immanente come l’arte culinaria. Ché già quel fenomeno artistico era – dopo le prime tre opere – la presa per il sedere dell’investitore. Contento sempre di leggere acute osservazioni di fenomeni davvero immorali del mondo attuale promosso dai social: un falso storico veicolato da struenti di informazione ormai privi di linea editoriale.
Speriamo che la gente si desti e ricominci a dar valore ad Essere e non al sembrare
Il Ligure