La truffa è servita (con vista mare): estate italiana a tavola
Spritz imbevibili, pesce congelato e dolci da ospedale: guida semiseria alla sopravvivenza gastronomica d’agosto. (Senza zuccheri aggiunti.)
Agosto. Quel mese in cui tutti sembrano arrendersi all’idea che il cervello, la dignità e il palato debbano lasciarsi andare come una ricotta fuori dal frigo.
La cucina italiana? Non pervenuta.
Il buon senso? In ferie anche lui. Estate italiana: la truffa è servita
Ma il critico – o chi almeno prova a difendere un minimo di civiltà gastronomica – resta lì, vigile, col nasino all’erta.
Perché se è vero che “non si lavora con 40 gradi”, è altrettanto vero che con 40 gradi non si dovrebbero servire tartare di tonno decongelato, ossidato e profumato all’olio al tartufo irrorato da ettolitri di bismetiltiometano.
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L’aperitivo “da copertina” e da denuncia penale

Location: località turistica mediamente affollata, bar in riva al mare che pare il set di una pubblicità anni ’90 con tanto di Eva Herzigova che scende le scale sul corrimano.
Gente con cappelli a tesa larga e bicchieri arancioni che brillano sotto il sole giaguaro di agosto.
Ordino un “aperitivo classico”. La cameriera (molto…) improvvisata, accento simil-balcanico, mi guarda come se avessi chiesto un Bloody Mary… al sangue vero.
Arriva uno Spritz imbarazzante che ha dell’incredibile: colore quasi verde fluo, zero bollicine, più acqua che in un’idrovora.
Fetta d’arancia fossilizzata e cannuccia di carta già molle.
Tagliere “gourmet” incluso: salame grondante sudore, formaggio di polistirolo (espanso?) e patatine con retrogusto di scantinato.
Costo dell’esperienza: 14 euro (e poteva andare peggio).
Sullo scontrino: “Aperimood del Capitano”.
Risultato: voglia di tuffarsi in mare. A testa in giù. Legato a un sasso.
La “grigliata di pesce fresco” che sa di freezer
Un classicone. Altro giro, altra truffa. Venghino lor signori, venghino!
Ristorantino ino ino con terrazza sul mare, lucine romantiche e camerieri che citano Masterchef come se avessero studiato gastronomia a Le Cordon Bleu.
Menu: “Pescato del giorno”.
Chiedo: “Cosa c’è di fresco?”
Risposta: “Branzino, orata, salmone…”
Io: “Salmone… dell’Adriatico?”
Lui: “Ehm, no… è norvegese, ma è abbastanza fresco… cioè, era fresco.”
Arriva il plateaux della tristezza: gamberoni gusto ammoniaca, seppie da wrestling e un trancio di pesce spada degno di una soletta per scarpe.
Il tutto condito con olio di semi (semi di gomito?) aperto da due giorni.
Conto: 38 euro a persona, amaro incluso. Amaro… emotivo.

La perla rara (quando smetti di cercare)
Per puro caso, mi imbatto in un posto che non sembra un ristorante: insegna anni ’60 stinta, tre tavoli, una signora che frigge dietro un vetro appannato.
Niente menu, niente QR code, niente storytelling da Instagram. Solo parole:
“Oggi ho qualche alice. E le zucchine. Poi se vuole la pasta, la faccio io.”
Spaghetti con zucchine fritte, pomodoro, basilico e cacioricotta del Gargano: perfetti.
Zero fronzoli, nessuna emulsione, niente impiattamento “a nido”. Vino bianco in bottiglia riutilizzata: modesto ma vero, acidità felice, temperatura giusta.

Conto: 21 euro. Niente POS. Vabbè… in ogni caso Italia vera.
Il dessert “destrutturato” e la fregatura strutturata
Ristorante modaiolo in città d’arte. Arredi bianchi (quasi ospedalieri), luci calde, cameriera tatuaggi minimal, vassoio d’aria.
Ordino il tiramisù “destrutturato”: un quintale di mascarpone, due biscottini in croce, cacao in polvere vecchio di mesi.
Chiedo: “E il caffè?”
Risposta: “Lo serviamo a parte, così ogni ospite può costruire il proprio percorso aromatico.”
Lo verso. I biscotti restano duri. Il mascarpone? Dolce come un marshmallow americano.
Conto: 15 euro per un’esperienza sensoriale che sensoriale non è.
Il problema non è la cucina. È l’ignoranza (e la pigrizia)
Il dramma dell’agosto italiano non sono i piatti. È la tolleranza ormai generalizzata al mediocre, diffusa in ogni campo.
Ci si siede ovunque, si mangia qualsiasi cosa, si dice “va bene così, tanto siamo in vacanza.”
E così ristoratori improvvisati, cucine scadenti e finti gourmet proliferano come zanzare in risaia.
Ma chi diamine ha detto che “vacanza” debba essere sinonimo di “mangiare a caso”?
Il palato non è un interruttore. E neanche il cervello. Estate italiana: la truffa è servita
Conclusione: annusare, giudicare, denunciare
Il naso e il palato restano i miei (i nostri…) migliori amici.
Non si fanno fregare da menù carini né da frasi ad effetto.
Sentono il fritto rancido, l’olio da discount, il vino scadente. E quando li sentono… devono dirlo.
La cucina italiana non si difende con food porn o influencer ben oliati, ma con padelle vere, ingredienti autentici, rispetto per chi mangia.
E soprattutto: anche e… soprattutto in agosto!Estate italiana: la truffa è servita
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Food, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?

