Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio nel Monferrato: tra scrittura, silenzio e cucina autentica
Dove il silenzio profuma di tartufo e di carta appena vergata d’inchiostro…
Alla Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio nel Monferrato il mondo rallenta. Non è una metafora: il tempo qui ha un passo più corto, come un animale che sa dove va.
Cammini e ti accorgi che il rumore più insistente è quello delle tue suole; poi resta soltanto il bosco, la bella chiesina formato bonsai (4 posti più l’officiante!) e l’odore d’acqua e di terra viva che ti sale addosso, un’eco di respiro che pare quasi un invito.
Ecco: in fondo a quel respiro c’è una casa.
La chiamano la Dimora degli Scrittori
Non per scherzo, né per marketing: davvero è un rifugio per chi vuole scrivere, un luogo di quiete dove le parole possono tornare a respirare.
Dietro l’idea ci sono Marina Miroglioe Bruno Marguerite, il suo compagno, scrittore noto in Francia.
Due persone che hanno messo insieme mestieri diversi ma parenti: la cucina e la scrittura. Entrambi richiedono silenzio, amore e disciplina profonda.
Entrambi si fondano su una stessa fede: quella nella bontà del gesto ben fatto.
Lo scrittoio rosso di Palazzo Losio, dove la scrittura trova il suo ritmo lento
La Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio è progetto nato dal bisogno di proteggere
L’idea è semplice — e le cose semplici, spesso, sono quelle che cambiano davvero.
Marina ha un passato importante in cucina, soprattutto in Francia: formazione classica, mani esperte, rispetto feroce per la materia prima. Di quella scuola che considera il piatto un atto morale, mica una decorazione.
Poi l’idea è approdata a Palazzo Losio, tra boschi e colline, dove ha scoperto una nuova lingua: quella della terra. Marina è ri-diventata tartufaia, rispolverando una passione di gioventù, fatta anche dei ritmi lunari, delle zolle, dei cani e delle attese. E si è innamorata dei prodotti che nascono qui, come il cardo gobbo, ortaggio strambo e nobile, curvo di fatica e cangiante di gusto.
Bruno Marguerite, invece, è un burattinaio delle parole. Le scolpisce, le lima, le rilegge finché non tagliano i fili e si reggono da sole. Uno di quegli autori che credono che scrivere sia lavoro, non posa.
E come ogni scrittore serio, sa bene che il mondo moderno è invaso dal rumore. Ti distrae, ti seduce, ti ruba il tempo.
Da questa doppia esigenza — proteggere il lavoro profondo, in cucina e sulla pagina — nasce la Dimora degli Scrittori.
Un luogo per chi cerca concentrazione e verità, più che comfort o riconoscimento.
Un angolo per pensare, scrivere e leggere nella Dimora degli Scrittori
Non un B&B, ma un’idea di mondo
Chi arriva qui non trova la solita residenza “artistica” o la stanza furbetta con due romanzi decorativi “in croce” sul comodino che fanno tanto romantica donna inglese.
Trova stanze pensate per restare, per scrivere, che parlano di cultura, anche sui pavimenti… Tavoli veri, luce che cade nel punto giusto, finestre mai invadenti.
Fuori, i boschi e l’orto; dentro, una bellezza silenziosa, quasi complice.
La casa è un piccolo capolavoro architettonico: un incrocio tra art decò e tardo liberty, con curve gentili, vetri lavorati, legni caldi e tantissimi divertissement architectural sparsi con cura e non celata gioia.
Non è lusso, ma misura.
Una bellezza che non urla, ma ti accompagna con dolcezza.
Ogni dettaglio – una maniglia in ottone, una piastrella color ocra, una sedia che sembra fatta per restarci ore – sembra dirti:
“Qui la bellezza non è decorazione: è rispetto.”
Ogni stanza è un omaggio a chi ha fatto della parola una casa
Ecco il punto: in questa casa la bellezza è una necessità.
Serve a creare le condizioni perché la mente possa lavorare bene, con calma, con gioia.
Kalokagathìa sulle colline Ponzonesi
Una parola greca, difficile da pronunciare, ma perfetta per questo posto: kalokagathìa.
L’unione del bello e del buono.
L’idea che estetica ed etica non siano opposti, ma la stessa linea percorsa bene.
La Dimora degli Scrittori incarna proprio questo
Ilbello dello spazio sostiene il buono dei gesti: cucinare, scrivere, pensare.
Sotto ogni passo, la letteratura
La cucina di Marina e la scrittura di Bruno Marguerite si specchiano l’una nell’altra: entrambe esigono onestà, lentezza, ascolto.
A tavola, Marina non fa “esperienze gastronomiche”: prepara cibo vero. Piatti che parlano del posto, del clima, delle mani che li hanno coltivati.
Il cardo gobbo, per esempio: ortaggio povero e regale allo stesso tempo, dolce e amaro, con quel profumo di terra e di memoria; quello che scalda fino al midollo.
Oppure un piatto di carne cotto piano, senza teatralità, o semplicemente pane e salumi locali, ma pane fatto come si deve e salumi che sanno (incredibile!) d’erba vera e di stalla pulita.
Ma anche i plin, praticamente perfetti, con sopra qualche scaglia di buon tartufo raccolto poche ore prima insieme ai vecchi trifolau di fiducia.
Plin e agnolotti al tartufo bianco: la cucina autentica di Marina Miroglio
Non per stupire, ma per ricordare che anche la terra scrive, a suo modo.
Una cucina come gesto di cura
Marina non “serve pasti”. Cura le persone come curerebbe un impasto, con la pazienza di chi sa che ogni cosa buona ha bisogno di tempo.
Chi arriva a Palazzo Losio non è un cliente.
È uno scrittore che cerca la sua anima forse fuggita, spesso stanco, magari in bilico.
Marina lo osserva, capisce se ha bisogno di parlare o di tacere, di un piatto caldo o di un piatto leggero. La sua è una cucina di ascolto, più che di invenzione.
Il cibo qui non è ornamento: è sostegno morale
Come direbbeBernard Malamud, è quella mano che ti porge un pezzo di pane quando tutto il resto è, e diventa confuso.
Bruno Marguerite e la parola
Bruno Marguerite è lo scrittore, quello che sa cosa significa lottare con una frase finché questa non si arrende.
La sua presenza toglie dal progetto ogni romanticismo facile: qui non si parla solo di “genio creativo”, ma di mestiere. Chi viene accolto, trova qualcuno che conosce la fatica della scrittura, la paura della pagina bianca, la nobile dignità del lavoro lento.
E in questo sta la grande intelligenza della casa: non idealizza l’atto creativo, lo normalizza, lo protegge. Qui scrivere è come zappare o impastare: richiede tempo, attenzione e una certa forma di solitudine.
Il silenzio come materia prima
In città il silenzio è un lusso. Qui è la regola. Punto.
Un silenzio profondo, pieno di suoni naturali – vento, animali, passi nel bosco – che fanno da metronomo alla scrittura. Il tempo si dilata, le giornate si misurano non in ore ma in pagine.
Il corpo entra in sintonia con il ritmo della terra, e la mente lo segue.
Non è isolamento ascetico, è quieta produttività.
Chi scrive qui non fugge dal mondo: ci rientra, con più chiarezza.
Non solo rifugio, ma posizione culturale
La Dimora degli Scrittori non è un progetto di ospitalità: è una dichiarazione culturale, quasi politica:
la creatività ha bisogno di protezione, non di spettacolo.
Mentre il (tele…) mondo della cultura moltiplica a dismisura festival, talk e premi, Marina e Bruno scelgono l’opposto: il ritiro consapevole. Qui non ci sono applausi, ma spazi per pensare.
Non connessioni digitali, ma connessioni umane.
Non menù degustazione, ma cibo vero.
È un’antitesi alla velocità contemporanea.
Una piccola rivoluzione gentile che rimette al centro l’essenziale: il lavoro fatto bene, il tempo giusto, la bellezza onesta.
La Dimora come organismo vivo
Entrare nella Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio… un rifugio creativo tra i boschi del Monferrato dove è come entrare in un corpo.
Ogni stanza ha una temperatura, una luce, un ritmo; un’anima, forse… Ci sono le biblioteche, tavoli di lavoro, la cucina che è anche laboratorio.
I materiali – legno, ferro, ceramica – parlano di tempo e di storie.
Niente è neutro, ma niente è invadente.
È una bellezza funzionale, mai vanitosa.
La somiglianza con certi interni liberty o art decò non è solo estetica: è morale. Quelle linee eleganti ma sobrie raccontano un’epoca in cui la forma era un modo per dire “rispetto per chi guarda”.
E qui, quel rispetto è ancora vivo: ogni dettaglio è pensato per accogliere la concentrazione, non per distrarla.
Marina, o la sapienza della terra
La piccola cappella di Palazzo Losio, dove il silenzio diventa voce
Guardarla muoversi lesta tra il boscoe la cucina è capire molto del progetto.
Marina ha mani da chef e il passo da contadina, e in questo doppio registro c’è tutta la verità di questo luogo.
Sa dove cresce il tartufo, ma sa anche quando e dove non cercarlo.
Sa che il cardo gobbo non si piega per caso, ma perché il freddo lo costringe a dolcificarsi. Questa conoscenza – concreta, poetica, precisa – diventa la spina dorsale della Dimora.
Nel bosco di Palazzo Losio, la ricerca del tartufo diventa un rito di pazienza e silenzio
Cucinare, per lei, è un modo di parlare col territorio.
E chi scrive, in qualche modo, fa lo stesso: ascolta, traduce, restituisce.
Bruno Marguerite, o la pazienza della parola
Bruno Marguerite porta il contrappeso ideale: la razionalità dello scrittore che sa quanto sia dura restare fedeli a una storia.
Della Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio nel cuore del Monferrato ne è guida discreta, presenza silenziosa.
Condivide letture, parla di struttura, di ritmo, di tagli.
Aiuta chi, arriva per distinguere la voce dalla confusione.
Non come maestro, ma come collega che capisce.
Lui e Marina si completano come due artigiani che lavorano materiali diversi ma con la stessa cura: la terra e la lingua.
Il bello come condizione di lavoro
In un mondo che considera la bellezza un accessorio, la Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio restituisce a questa parola sua funzione originaria: essere condizione di armonia. Qui il bello non è ornamento, ma nutrimento.
Come un pane ben cotto, o una frase riuscita.
Le pareti color sabbia, i vetri smerigliati, la posizione delle scale: tutto sembra fatto per ricordare che la forma giusta è quella che fa stare bene dentro e che il lavoro creativo è un atto di salute, non di vanità.
In sintesi
Alla Dimora degli Scrittori di Palazzo Losio nel Monferrato” si celebra piccolo miracolo di coerenza.
È rifugio creativo, sì, ma anche progetto etico.
Nasce dall’incontro tra una chef che conosce la terra e uno scrittore che conosce il silenzio. Insieme, hanno costruito un luogo dove scrivere, mangiare e vivere tornano a essere una sola cosa.
Qui il tartufo non è lusso, ma linguaggio.
Il profumo del bosco diventa sapore nel piatto
Il cardo gobbo non è curiosità, ma identità.
La bellezza non è facciata, ma responsabilità.
E soprattutto, qui si riscopre un’idea antica e quasi dimenticata: che la vita buona – bella e giusta insieme – è ancora possibile.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Food, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta. Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
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