Di Fabio Riccio,
Christian Mandura.
Ricordatevi, anzi appuntatevi da qualche parte questo nome per non dimenticarlo.
Chissà, secondo me ne sentiremo parlare, spero a breve…
Forse il bravo Christian non lo sa, ma oltre essere un buon cuoco, è un rivoluzionario, oppure se questo termine a voi lettori evoca qualcosa di spiacevole, definiamolo un irriverente…
Un irriverente provocatore, un valente incendiario della sintassi dei sapori.
Andiamo con ordine.
Milano, 26 novembre, Via Watt n° 37 – Cooking for art 2016.
Prima tornata degli aspiranti cuochi emergenti in cerca del loro posto al sole…
Piatti buoni, piatti un po’ meno buoni, qualche volta piatti potenzialmente interessanti, ma che al palato risultano un attimo inconcludenti. Forse c’è poca voglia di osare qualcosa oltre la bella e doverosa presentazione.
Non mancano anche i bei compitini, quelli precisi precisini, ma anche loro con ben poco “cuore” – compitini che gastronomicamente hanno la stessa espressività di un semaforo…
Vabbè, l’avrete già capito, come sempre in questi frangenti nei piatti di noi giurati ci arriva di tutto.
Così, ad un certo punto giunge un piattino di pasta, all’apparenza dei mezzi rigatoni o giù di lì… giudicate voi dalla fotina piccina picciò qui sotto.
Il buon Christian Mandura me li chiama rigatoni (mezzi?) gin fizz e china sfumata – una citazione paninara dice lui.
“Tranquilli! Sono sempre io! – il paninaro!”
Perbacco… c’è anche il drive in con i maccheroni?
Eppure, anagrafe alla mano quando i “paninari” furoreggiavano Christian Mandura non era ancora nato, o forse frequentava l’asilo o giù di lì.
Vabbè, torniamo al piatto.
Subito mi accorgo che sono di fronte a una provocazione, un vero e proprio sasso gettato nello stagno, aspetto & gran tecnica a parte.
Assaggio.
Sono proprio cinque, (5) di numero ‘sti rigatoni…
Qui arriva la stoccata, il dardo gustativo.
Il tutto, è dannatamente buono, e l’aggettivo “buono” qui è inteso in senso assoluto.
Il “gin fizz” chinato permea proprio per bene ‘sti rigatoni, e saltando tutto il percorso dei sensi e della imbalsamata sintassi di una certa cucina, va subito al cuore, questo è quello che conta davvero…
Mannaggia quanto mi piace!
Bingo!
Amaro, pasta che (qui..) sorprendentemente sa proprio di pasta (interno non troppo cotto a parte), profumo di china ma senza l’alcol eliminato “flambè” nello spadellamento, e quel tocco di friccicosità che movimenta il tutto assolutamente senza strafare…
Sapore, persistenza ed equilibrio anche nel il maneggiare quella specie di dinamite sensoriale che è la china.
Se tanto mi da tanto… mi sa che il buon Christian Mandura ha in casa una collezione di bottiglie di Barolo Chinato – chissà chi preferisce tra Cappellano e Cochi?
A ‘sto punto la giuria si spacca, cosa prevedibile, prevedibilissima.
C’è chi prende Christian Mandura per matto, c’è chi l’adora, come il sottoscritto.
Oddio… di certo parliamo di un piatto temerario, davvero giocato sul filo del rasoio e non adatto al gusto di tutti i palati.
Va mangiato in modica quantità, perchè (almeno credo..) se una porzione di assaggio o di antipasto è buona, interessante e ben godibile, un piatto intero non è sostenibile, anche per il sottoscritto avvezzo ad ogni tipo di stimolazioni sensoriali.
Però… rimane sempre un gran bel piatto, credo anche molto studiato.
In mia opinione non il più buono in assoluto tra quelli assaggiati durante tutta la kermesse milanese di Cooking for art, ma di certo quello che più mi ha colpito, andando dritto al cuore, facendosi beffe di certi assiomi incontrovertibili, e facendosi voler bene anche, e sopratutto, per la voglia di uscire dai certi canoni ormai un po’ lisi.
La cucina italiana è di certo in gran forma, su questo non c’è dubbio alcuno, chi vuole e sa scegliere, riesce a mangiare bene, anzi benissimo (anche) senza svenarsi economicamente, mai così bene come negli ultimi 25, ma quelli che mancano sono i provocatori, troppo pochi e poco visibili.
Nella cucina italiana c’è bisogno di “urlatori”, un po’ come è successo all’imbalsamato mondo della musica negli anni ‘60 del secolo scorso… Tony Dallara docet.
Ah… no: una voce di urlatore già c’è, e si fa sentire, eccome che si fa sentire… si chiama Francesco Brutto da Treviso, segnatevi anche questo.
Piccola postilla “musicale”.
Al tempo dei dinosauri ascoltavo sia i Beatles che i Rolling Stone, ma preferivo i secondi perché decisamente fuori dagli schemi. La cosa ha funzionato – guarda un po’- le “pietre rotolanti” sono ancora in discreto spolvero nel ventunesimo secolo dell’era volgare!
Più tardi sono transitato per il Punk, e anche se i Sex Pistol in realtà non sapevano mica suonare, mi piacevano lo stesso perché irridevano e provocavano facendomi pensare però… lo stesso facevano facevano molto più goliardicamente in Italia gli Skiantos
Ecco: questo piatto “chinato” di Christian Mandura sarebbe di sicuro piaciuto al gruppo Punk inglese…
https://it-it.facebook.com/christian.mandura
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?