Vino (al) naturale

Di Serena Manzoni

Il Carso è uno di quei luoghi in cui dovrei fare una passeggiata prima o poi, una passeggiata attenta, forse più mirata, più agricola in fondo. I miei passaggi in zona sono stati soprattutto cittadini, con innamoramento giovanile per Trieste… avete presente il ragazzo o la ragazza ancora acerbi a cui avete dato un solo bacio, ma lo ricordate come fosse una fragola matura?

Alla passeggiata carsica ci penso ogni volta che bevo un vino che ne esprima il terroir, facendomi venire voglia attraverso il bicchiere di quelle sensazioni che più che conoscere immagino. Prima di tutto mi fanno pensare al mare, che tutto asciuga e sbianca, e ad una roccia che si sgretola e a qualcosa di secco, ma non solo…ecco che appare la vegetazione, delicata e robusta e profumata di vento sferzante. Forse rimando il viaggio per non rovinare questo immaginario dentro un bicchiere…

Vino al naturale
  Alice Feiring

Pensavo anche a questo leggendo Alice Feiring nel suo Vino al naturale Slow Food Editore 2013 e pensavo in maniera sempre più frequente alla Drogheria Buonconsiglio di Vasto, provincia di Chieti, regione Abruzzo, Italia. Lo so, lo so… sto facendo le mie solite piroette, ma vi assicuro che pagina per pagina le due cose andavano sempre di più toccandosi.

Il più banale dei motivi è che tutte e due si occupano di vino naturale, vino nudo come lo chiama la rossissima americana, o come preferite chiamarlo.

Onestamente mi annoia un po’ la querelle sul termine naturale o no, credo che per chi beve in questo modo in fondo non sia nemmeno così importante ingabbiare il concetto; più difficile (e di questo si parla molto nel libro) riconoscere quali vini siano veramente naturali, se vi sia una “ricetta” o meno, se lo zolfo sia del tutto inaccettabile o no. Vino al naturale

Sono una bevitrice emotiva, mi piace sentire la storia del vino in particolare da chi lo fa e sono giunta alla conclusione che naturale o nudo possa racchiudere molti modi di fare vino, partendo però dal territorio e dal rispetto del frutto e da tutto quello che lo circonda, con onestà e in maniera pulita (in tutti i sensi). Vini di carattere, dove si percepisce in maniera netta un territorio, un vigneron, un’idea, la passione. Dietro questo tipo di vini troviamo un’ etica e, a mio avviso, pure un’estetica, non sarà dunque la bellezza a salvare il mondo?

Comunque, per avere le idee un po’ più chiare sulla nascita e l’evoluzione del movimento dei vini (al) naturale, continuate la lettura del libro e vi troverete magicamente alla Drogheria Buonconsiglio, tra vini e vignaioli ricorrenti tra le pagine e in Drogheria… magari alcuni bevuti, altri soltanto raccontati. Sembra straordinario, ma nel piccolo centro di provincia abruzzese, ci sono tre matti che ti fanno bere gli stessi vini di cui leggi nella Feiring! E allora vai con il San Fereolo, Overnoy, Gravner (ah! Il Carso…), Puzelat, la Provenza e la Spagna e magari tra poco ci troveremo anche qualche americano. Eh sì, perché uno dei crucci della nostra critica è quello della California e in generale del Nuovo Mondo, espressione più di un’industria che di diversi terroirs con la separazione netta tra chi produce l’uva e chi produce il vino, ma anche qui trova qualche segno di speranza in persone e aziende che iniziano a lavorare in maniera diversa o addirittura tra chi (Couturri) il vin naturel lo faceva prima dei francesi…

Vino al naturale

Riccardo, Gianfranco e Fabio della Drogheria Buonconsiglio di Vasto (CH)

Altro punto di contatto tra il libro e la Drogheria è sicuramente il fatto che ci si diverte… la Feiring ci racconta dei suoi viaggi e di vignaioli e di vini, forse indugiando un po’ troppo su sé stessa, ma sempre con ironia e umanità, e non senza competenza. Nel libro e al locale, vini da bere, che danno piacere, non pesanti, conviviali, e senza troppi postumi.

Voglio sottolineare un’ultima cosa, proprio come fa Alice Feiring, ovvero che non tutti i vini naturali sono buoni, che c’è chi lavora bene e chi lavora male, che il gusto non viene dimenticato quando si decide di bere in questo modo, che non è una fede cieca.

E allora è bello sedersi al tavolino, sgranocchiare qualcosa e, per spiegare che vini si vorrebbe bere, poter dire: “ ho voglia di vento e mare, terre aspre e solitudine, di profumo e lontananze… ho voglia di quella sensazione lì…” ed essere capiti!

Piccola biblioteca gastrodelirante di Serena Manzoni

 

4 commenti su “Vino (al) naturale”

  1. Purtroppo (in mia opinione) mi sembra che slow food con la rinascita dei vini naturali abbia un atteggiamento ondivago. Lo sdoganamento e’ forse tardivo, e credo anche un po’ opportunistico. In guida e in certe zone le omissioni di taluni bravi produttori naturali sono gravi…

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  2. Anche io ho letto il libro della “rossa” giornalista americana. Certo, mi chiedo come faccia ad essere vegetariana…
    Considerazioni personali da carnivoro “inferocito” a parte, il libro è decisamente interessante. In certi passaggi pecca un po’ di autocompiacimento, ma alla fine il “messaggio” passa e viene trasmesso al lettore senza mediazioni, e in modo chiaro.
    Devo dire che mi ha molto colpito invece, il breve passaggio in cui la “rossa” parla della disattenzione per molti anni da parte dello SlowFood verso il mondo del vino naturale. Io sono da anni un socio Slow Food, e in varie tornate ho partecipato a corsi sul vino e cibo. Corsi interessanti davvero e tenuti d docenti competenti e parecchio entusiasti. Ma c’è un “ma”… Nei due corsi sul vino a cui ho partecipato, e nonostante le rituali visite didattiche in cantina, nessuno, dico proprio nessuno dei vari docenti ci ha mai spiegato realmente e in dettaglio tutti i passaggi “nascosti” di come si fa’ il vino…
    In tutte le visite in cantina e nei corsi, nessuno ci ha parlato di lieviti allogeni e non, nessuno ci ha spiegato di filtrazioni e tecnologie varie… nessuno ci ha parlato della miriade di soststanze che LEGALMENTE sono aggiunte al vino. Insomma, con il senno di poi, e con il mio successivo documentarmi e interessarmi al mondo del vino, ho scoperto che durante questi corsi ci erano stati omessi parecchi passaggi fondamentali… Per fare un esempio, nessuno ci ha detto che aggiungendo un determinato tipo di lievito, si cambia radicalmente il risultato olfattivo e gustativo di un vino… hanno parlato della criomacerazione come una sorta di panacea, mentre invece non sempre è così…. e potrei continuare. Insomma, tante cose (volutamente?) omesse.
    Poi… un po’ di mesi leggendo la rivista che Slow Food manda a noi soci, scopro la “piroetta” a 360 gradi – contrordine compagni: il vino naturale è bello e buono! Mah…
    Prima di chiudere questo mio sfogo, devo dire che tre anni fa’, quando è iniziata la mia marcia di avvicinamento a questo mondo enoico naturale, ho incrociato per strada uno dei miei vecchi insegnanti del primo livello, un signore anziano e dall’aspetto ieratico un po’ alla mario Soldati che non vedevo da tanto.
    Dopo un po’ di convenevoli, lui mi chiede cosa combino con il vino, e io candidamente gli parlo del mio interesse per i vini cosidetti naturali e “Triple A” – non l’avessi mai detto… Inizia una filippica sulla imbevibilità e la nocività di questi vini, e sulla impreparazione enologica di tutti i produttori di questo settore, che a detta sua èasserà presto di moda per lasciare spazio al vero vino. Neanche Bellotti o qualche altro produttore fossero assassini o peggio… La conversazione è finita poi subito li… Ma Slow Food come la pensa davvero? Oppure per anni anche loro ci hanno propinato solo una parte di verità?
    Scusate la prolissità, ma in un sito che vedo molto interessato al mondo del naturale penso di trovare giusta accoglienza.
    Grazie,

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  3. La diatriba tra naturale e non é in piena esplosione… Diciamo che da parte di certi enologi supertitolati, una buona dose di “puzza al naso” c’é. Rimane il fatto che nel mondo del vino convenzionale si é superato il livello di guardia, tolti certi grandi e medi nomi di indubbia qualitá che naturali o convenzionali che siano fanno davvero grandi vini, il resto delle tantissime aziende che ci sono in Italia da nord a sud si è omologata in una melassa di vini indistinguibili l’uno dall’altro, non fosse per il colore…
    Basta co’ ‘ste cantine che si credono chissà chi, quando a prescindere dal vitigno sembrano fare sempre lo stesso vino dalla sicilia al piemonte!
    Voglio vini veri…

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  4. Il problema sarebbe risolto semplicemente liberandoci in qualche modo di tutti i soloni dell’enologia ufficiale. Questi “padrini del vino” parlano e razzolano come padreterni, privilegiano un approccio alla degustazione troppo “tecnico” per essere credibile. Ma come si fa a capire ancora qualcosa in una di quelle folli sedute di degustazione dove si testano decine e decine di vini in poche ore, e senza realmente berli? Io prediligo l’approccio emotivo con il vino… Questi qui sono macchine invece, e spesso ancora… A casa loro neanche bevono… Mi ricordano tanto la.storiella del pasticcere (presunto) diabetico…

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